Un gruppo di Associazioni e di persone hanno deciso di darsi appuntamento e di chiamare a raccolta chi sente l’urgenza delle cose che stanno precipitando intorno a noi. “Da anni ci interroghiamo, ognuno per la sua parte e per la sua personale ricerca, su ciò che sta accadendo e su quello che sarebbe necessario fare. Molte volte ci siamo illusi che fosse sufficiente invocare una sorta di ‘chiamata alle armi’ unitaria per ‘ricostruire un fronte’ attraverso una semplice sommatoria di soggettività, attraverso un processo di mera ricomposizione”, si legge nel comunicato del gruppo promotore de “La transizione”.
Non si può parlare del nuovo mondo possibile solo con le parole vecchie e consumate del ‘900. “La diversità dei e nei linguaggi – invece di essere il frutto di analisi nuove e tentativi di comprendere i processi di trasformazione in atto nel mondo – si è prodotta, in questi anni, ‘all’indietro’ trasformandosi in una vera e propria ‘diaspora’, frutto del tentativo di inquadrare il nuovo con le parole, ormai consunte, delle analisi precedenti. Un processo che, drammaticamente, ha comportato la svalutazione delle stesse aspirazioni di liberazione umana che muovevano tali analisi. Sei anni or sono alcuni di noi proposero, alle forze politiche giovanili delle varie sinistre allora in campo, un nuovo terreno di elaborazione che potesse sfociare in una ipotesi di rinnovamento delle forme politiche esistenti, un cambiamento nel linguaggio, nelle forme organizzative, nei gradi di libertà da proporre come nuova frontiera della lotta di liberazione dell’umanità dai processi di alienazione, di sfruttamento ‘dell’uomo sull’uomo’, di compatibilità dei modelli di vita con la finitezza delle risorse e gli equilibri delle variegate forme di vita del pianeta. In altre parole, una nuova politica”.
Quell’appuntamento si chiamava “La transizione possibile” e fu caratterizzata da una grande partecipazione e interesse, ma il tentativo di mettere quella elaborazione a disposizione delle vecchie forme della politica non riuscì. “Scontammo una impermeabilità degli apparati e delle vecchie forme organizzate che impedirono al nuovo di attecchire”.
A sei anni di distanza, la Transizione pare sia diventata, purtroppo, la parola “magica” per giustificare ogni tipologia di scelta politica. “Noi crediamo, invece, che serva una consapevolezza delle parole e iniziare a dare corpo ad un processo nuovo. La Transizione, da fase impositiva di politiche di supporto di processi di ulteriore concentrazione di potere e ricchezza, di svuotamento dei processi partecipativi e decisionali, deve trasformarsi in una fase ‘generativa’ di un nuovo ‘fare umano’, di una diversa e più inclusiva forma delle relazioni che sappia riconoscere differenze e autonomie, di una presenza umana compatibile con il pianeta e le sue leggi vitali. La necessità del 99,9% delle persone che abitano il pianeta, qui ed ora, è quella di andare ‘Oltre’ le forme della società contemporanea, degli assetti economici e di potere stratificati fino ad ora. La necessità è obbligata dalle faglie che si sono aperte sotto i piedi di questo modello sociale, delle sue incapacità a soddisfare le aspirazioni di miliardi di persone, delle sue incompatibilità sociali, ambientali, di vita”.
Per fare questo salto nelle finalità del fare umano, però, è necessario aggiornare i territori dei conflitti, comprendere le nuove forme di sottomissione e progettare direttamente le forme nuove del fare. Non bastano più le rivendicazioni del ‘900. I territori del digitale, pur potenti e dirompenti, possono essere molto “porosi” e consentire “vie di uscita” dagli schemi che le vecchie forme della produzione non consentivano. Ma serve teoria nuova e pratiche di nuova generazione.
Per questo motivo alcune associazioni stanno raccogliendo la disponibilità a partecipare ad un appuntamento a Frattocchie il 3 e il 4 settembre per far fare un salto politico e organizzativo ad una elaborazione che da anni attraversa, a diversi livelli e consapevolezze, molte delle associazioni e personalità che orbitano nella sinistra politica e sociale del nostro paese.
L’idea è di proporre la costruzione di un “marchio comune” da utilizzare per segnalare la partecipazione al processo politico ma che consenta di mantenere le nostre diversità e peculiarità. Una sorta di “Rete della transizione” che potrebbe configurarsi con l’aggiunta al singolo nome associativo o personale di un “suffisso” come ” nome associazione – La transizione”. Ovviamente tutto sarà deciso collettivamente nell’incontro di settembre.
La due giorni sarà organizzata in due sessioni: la prima relativa alla condivisione delle analisi su “La transizione” e la seconda relativa alle forme di organizzazione (digitale e analogica) fa prendere per proseguire il lavoro politico. “Chiediamo a tutti di partecipare a questa nuova fase della politica e che non riguarda solo il nostro paese, contribuendo alla costruzione di questo appuntamento con le vostre elaborazioni e la vostra partecipazione fisica a Frattocchie”.
Per informazioni o aderire all’appello potete scrivere a: [email protected]