Al di là di ogni forma di retorica, voluta o spontanea, il vedere giovani ragazze e ragazzi provenienti da ogni parte del mondo che si abbracciano, si complimentano, si additano e si coprono con i colori delle bandiere dei loro Paesi, è forse la cosa più toccante, esaltante e commovente che in questa aridità di mondo nella quale ci stiamo dimenando ci sia dato vedere e vivere.
Una competizione ad armi pari, dove l’ago della vittoria è destinato a pendere verso la migliore preparazione, il più risoluto rifiuto nello sforzo, la maggiore concentrazione. Nulla viene dato per scontato! Gli esili saltatori controbilanciano i “robusti” lanciatori del peso, le libellule della ginnastica gareggiano alla pari con le discobili robuste e muscolose, i lottatori di ogni tipo sono tre o quattro volte gli esili corridori del fondo. Tutti uguali, tutti animati dallo stesso spirito e volontà: ottenere il miglior risultato possibile. Poi, alla fine, si contano le medaglie, le più pregiate, quelle un po’ meno, ma la vera ed unica vittoria è l’essere riusciti nella partecipazione, nella condivisione, nell’uguaglianza. Bianchi, neri, olivastri, capelli ricci o lisci, ispidi o svolazzanti: difronte alla personalissima sfida non esistono diversità: solo uguaglianze.
Poi, le lacrime di gioia, di incredulità, lacrime che hanno il peso di giorni, mesi e anni di preparazione, di sacrificio, di concentrazione. Per il momento tutto questo è finito e giunge il tempo delle considerazioni, delle valutazioni.
Eppure, su questa stessa terra, questa parte di mondo che ha ospitato questa rinascita delle sfide di Olimpia, non più tardi di tre quarti di secolo fa una densa nube di morte si abbatte in un solo istante e non fece distinzioni: in un breve battere di ciglia oltre 80.000 persone persero la vita.
Alcuni chilometri al di sopra delle loro teste, un militare aveva spinto un semplice bottone e un ordigno a cui era stato dato pure un nome (Fat man – uomo grasso) aveva iniziato la caduta gravitazionale e circa 400 metri sopra le loro teste aveva sprigionato tutta la sua tremenda forza distruttrice.
Era il 9 agosto del 1945 e la guerra aveva mostrato, senza pietà, la nascosta natura dell’uomo. Quella peggiore e non si osi chiamarla “animalesca”: gli animali uccidono solo per fame e per difesa.
Ora, la scelta è solo nostra: non demandiamola!
(Mauro Magnani)