La retorica del Climate Change ha sì gridato a gran voce il dramma della distruzione degli ecosistemi, ma ormai ciò non fa più notizia perché l’abitudinarietà sta “anestetizzando” questo problema bypassando il “da farsi” ad altri, perché le politiche che sarebbero necessarie sono fatte di ragioni scientifiche, culturali (e morali) che implicherebbero privazioni “sangue e lacrime” talmente impopolari che nessuno (per ora) si sognerebbe mai di perseguire; il problema principale della nostra civiltà industriale infatti è che si nutre delle risorse generando residui per cui la soluzione sarebbe unicamente nell’azzeramento delle emissioni, che però significherebbe cambiare i “processi” in pochi anni e conseguentemente anche la vita di tutti noi in modo troppo repentino.
Una mission impossible quella perciò di “farci mancare qualcosa” soprattutto dopo i lockdown a ripetizione degli ultimi anni e ora che la luce in fondo al tunnel della pandemia si intravede, è per questo che si è vissuto un’estate al massimo tanto per lo “sportivo” pane& racchettoni (come fosse l’ultima) quanto per il più “acculturato” che ha letto un libro (d’un sol fiato) per riempire gli spazi vuoti, sopportando la “noia” che ha reso importante il fattore tempo e l’ozio (e la lentezza) verso le cose da fare facilitandone la scelta, ovviamente tutto ciò sempre “connessi e raggiungibili” alle prese con mail e video chat. Soltanto di rimbalzo le (solite) news “by Palestina” sui perché delle 12 guerre in 70 anni sulla scia dei fattacci di Gaza e la violenta ondata di repressione da parte israeliana, quanto al circolo vizioso dei migranti a Lampedusa che la Commissione Europea vorrebbe distribuire ma è ostacolata dai Paesi di Visengràd e l’Austria, non dimenticando infine la voce del G20 Women che aperto il “fascicolo” Afghanistan si è scagliato (per ora) invano contro l’oscurantismo talebano che sta calando sulle donne afghane, soprattutto su quelle giovani, dopo venti anni di libertà (e indipendenza).
Intanto i ghiacciai del “Grande Nord” si sciolgono e le bolle di calore californiane infiammano boschi e praterie fin quasi al Canada nella (quasi) indifferenza mediatica globale, questo perché negli ultimi decenni ci siamo “sopravvalutati” credendo di essere i più forti del pianeta distruggendo gli habitat naturali infrangendo ogni regola “condominiale” di buon vicinato e costringendo per così dire i virus alla “resa dei conti” col nostro sistema immunitario, con tutto ciò che ne è conseguito.
Da ciò urge un’inversione di tendenza da “Supereroi”, perché sarà sempre più fondamentale credere che sarà solo il nostro stile di vita quotidiano ciò che salverà il pianeta e servirà a correggere l’emergenza ambientale, non fra cento generazioni ma subito, costi quel che costi e senza rivoluzioni, anzi l’opposto che paradossalmente potrà significare di vivere alla (sobria) maniera dei nostri nonni e bisnonni, partendo dal campo agricolo e dell’alimentazione fino alle forme di energie pulite e al tempo stesso industriali, ma soprattutto “liberando l’ecologia” che finora è stata tenuta in ostaggio da una politica miope che ha portato solo guai.
L’estate che fra un po’ finirà ci ha visto bamboleggiare durante i mesi della bella stagione come gente caduta dalle nuvole dove (malgrado tutto) non ci siamo fatti mancare nulla, dagli assembramenti all’ora dell’aperitivo ai balli di gruppo fino a tarda notte al punto da causare “fermi” amministrativi e pecuniari ai locali; senza freni come un plotone in libera uscita abbiamo scorrazzato con le infradito per le viuzze adiacenti i lungomari, dimenticando il più in fretta possibile i mesi difficili della pandemia da Covid-19 col suo “carico” di contagiati, intubati e di gente che ci ha lasciato la pelle.
(Giuseppe Vassura)