L’8 settembre ha preso il via il più grande processo francese dal dopoguerra: quello per gli attentati del Bataclan del 2015 a Parigi, con 20 imputati, 330 avvocati e 1.800 persone costituite parte civile.
Ma c’è una storia che vale la pena di conoscere, per migliorare la nostra fiducia nel genere umano: due padri in dialogo.
Georges Salines è medico. Azdyne Amimour è negoziante. Entrambi hanno avuto una vita movimentata. Georges ha esercitato in diversi Paesi, poi con la sua famiglia si è stabilito a Parigi. Azdyne è un avventuriero dalle mille e una vita. Si è stabilito nella regione parigina dopo aver viaggiato per il mondo. Georges non è credente. Si definisce ateo “dalle radici cristiane”. Azdyne è musulmano, praticante, ma non più di tanto, profondamente legato, però, ai valori dell’Islam. Presentati così, questi due uomini potrebbero non essersi mai incontrati. Tuttavia, gli eventi del 13 novembre 2015 hanno deciso diversamente.
Lola, la figlia di Georges, era al Bataclan quella sera per assistere a un concerto del gruppo rock americano “Eagles of Death Metal” nella famosa sala di concerto parigina e venne uccisa nel corso dell’attentato.
Azdyne ha perso le tracce di suo figlio. Negli ultimi anni il rapporto con lui è stato teso e la sera del 13 novembre 2015 non ha idea di dove possa essere Samy. Azdyne e sua moglie Mouna saranno informati poco dopo che Samy è uno dei tre assalitori del Bataclan, ucciso dalla polizia assieme ad altri sei terroristi.
Georges dopo gli attentati crea un’associazione di famiglie di vittime e di sopravvissuti: “13onze15, Fraternité et Vérité”. Non si rifugia nella preghiera, non è credente. Non è abitato da un sentimento di odio, rabbia o vendetta. Non capisce “l’assurdo”, dice.
Azdyne ha bisogno di andare oltre per superare il “suo” impossibile, sente il bisogno di vedere cosa stia succedendo dall’altra parte, le famiglie delle vittime. Tramite un terzo, Azdyne chiede di incontrare Georges che accetta perché, in fondo, anche quest’uomo che chiede di vederlo è una vittima, un padre che ha perso un figlio.
“Avevo già perso tutto”, dice Azdyne. “Ero dalla parte sbagliata della storia. Accettando di incontrarmi, George aveva molto più da perdere”. La strada di Georges, come quella di Azdyne, passa per un caffè della Bastiglia, a Parigi, dove si incontrano una mattina del febbraio 2017. La conversazione, timida all’inizio, adotta rapidamente un tono più rilassato. “Azdyne è una persona toccante”, dice George.
Parlano della loro vita, delle loro famiglie e naturalmente parlano di Lola e Samy, anche se è doloroso per entrambi. “È stata la mia terapia”, dice Azdyne. L’incontro con Georges gli ha permesso di chiudere il cerchio.
Insieme, stanno inviando un messaggio che è esattamente l’opposto di quello dei terroristi: con il dialogo, tutto è possibile.
Georges e Azdyne decidono di scrivere un libro, di raccontare la loro storia, le loro conversazioni, il loro avvicinamento e le loro divergenze. Perché ce ne sono, ovviamente, ma non sono più fonti di divisione. Non sono state superate e probabilmente non lo saranno mai, ma sono comprese e accettate.
Hanno scelto questo titolo per il loro libro: “Il nous rest le mots“, “Ci restano le parole”, sottotitolo: Una lezione di tolleranza e resilienza.
Al momento non esiste una versione del libro in italiano, ma la loro storia ci indica una strada, quella del dialogo, della comprensione delle posizioni degli altri, del prendersi per mano nel guardare il dolore.
(Tiziano Conti)