Bologna. «Continueremo a lottare finché non verrà riconosciuto il nostro diritto ad avere un futuro […] perché non ha senso continuare a studiare se un futuro non l’abbiamo». Queste le parole risuonate allo sciopero globale per il clima, organizzato a Bologna e in tante altre città lo scorso venerdì 24 settembre. In piazza ci sono tante e tanti giovani. Sono per la stragrande maggioranza studenti, e danno forma ma soprattutto sostanza al corteo in marcia dietro a uno slogan che non lascia nessuno spazio a possibili interpretazioni: «il capitalismo distrugge il pianeta, è ora di cambiare il sistema».

Conflitti. Le lotte si intrecciano a più livelli, basta leggere lo striscione che campeggia per buona parte del corteo di fianco a quello principale per rendersene conto. Dice «no» al Passante di mezzo, «no» alle autostrade in città. La sovrapposizione dei piani è evidenziata dalla presenza del movimento No Tav e da quella dei metalmeccanici della Fiom: locale e globale, lavoro e ambiente, devono procedere insieme, nello stesso verso. Al contrario, si è reso fin troppo evidente come capitale e (tutela del) clima non possano andare avanti accoppiati, come recita uno degli ultimi saggi dell’attivista canadese, tra le principali fonti di ispirazione del movimento alter-mondalista, Naomi Klein. Come sostiene la scrittrice, la battaglia che combattono gli ecologisti è proprio quella «contro il capitalismo, per salvare il clima». I movimenti per l’ambiente in questi anni hanno maturato una coscienza sempre più solida dello scontro in atto, le parole d’ordine si sono modificate di conseguenza. Greta Thunberg da qualche mese ha smesso di parlare di «cambiamento climatico» per adottare l’espressione «emergenza climatica», più vicina alla tragedia che si sta consumando sul nostro Pianeta, contro il nostro Pianeta. L’attivismo ha radicalizzato il suo lessico, la mattinata di venerdì lo racconta bene. Ma possiamo dire che alle parole si accordino i fatti, che quello sceso in piazza per l’ambiente sia a tutti gli effetti un insieme di movimenti anti-capitalisti?

Avanguardie. Dipende da dove si sceglie di tracciare la linea di demarcazione tra chi può essere considerato parte integrante del movimento e chi no, dal confine che separa attivisti, partecipanti e simpatizzanti. Non vi è dubbio che tra gli organizzatori delle proteste vi sia un magma di rabbia in espansione, una tendenza sempre più marcata per la contestazione totale dei centri di potere economico e, a cascata, di quello politico. In questa cornice, e in aggiunta alle manifestazioni per il clima, è indicativo osservare come i nuovi scenari di conflitto aperti nella penisola facciano emergere a loro volta un linguaggio di aperta ostilità. Si pensi per esempio alla lotta dei lavoratori della Gkn. «#insorgiamo», il motto scelto dal collettivo, non guarda solo alla riconquista del posto di lavoro (perché proprio di una battaglia si tratta), ma mira ad attaccare alle fondamenta un sistema che basa la propria legittimità su premesse inaccettabili. Un sistema in cui i diritti dei lavoratori possono essere asfaltati da un giorno all’altro dai padroni e dalla loro folle speculazione finanziaria.

Alternative. Dinanzi a tanto, non rimangono molte alternative: accettare di abbandonarsi all’impotenza, o provare a rovesciare il corso degli eventi imposto dall’alto. I lavoratori di Gkn, non soltanto quelli della sede di Campi Bisenzio, continuano a organizzare la resistenza, tra occupazioni delle fabbriche e scioperi a tempo indeterminato, mantenendo vivo il dialogo e la cooperazione con quanti si trovano in situazioni analoghe, come gli operai della Whirlpool di Napoli. Guardando al fronte del lavoro, sembra di assistere alla formazione di un blocco: un blocco con tattiche conflittuali, magari non prettamente anti-capitalistico ma sicuramente contrario a questo tipo di capitalismo. Senza nessuna pretesa di divinazione, ci sono buoni elementi per credere che, radicalizzandosi dal centro alle periferie delle proteste, dai più impegnati ai meno interessati, il percorso intrapreso sul lato blue (collar) e su quello green possano seguire uno sviluppo simile. Resta da capire in quale direzione.

Retrotopie. Il mondo del futuro è popolato da incubi, per cui guardiamo con sempre maggior favore al passato, vero o immaginato che sia. Questo in estrema sintesi il messaggio di Zygmunt Bauman in Retrotopie, saggio sul crescente sentimento di nostalgia che condiziona gli «occidentali». Forse non dovrebbe stupire, tornando alla piazza di venerdì, che visioni più e meno mitizzate dei tempi che furono emergano in una società che vive con una clessidra che pende sulla sua testa. Ciò che colpisce, è che questa forte voglia di passato oggi alberghi nelle forze della sinistra, che hanno fin dai loro albori individuato nel progresso e nel futuro la promessa della liberazione dell’uomo dalle fatiche e dal giogo capitalistico. Lo metteva in luce Massimo Cacciari un paio di mesi fa, quando in occasione del ventennale del G8, rifletteva sulle condizioni che hanno portato alla scissione dell’anima naturalista da quella progressista dei movimenti anti-capitalisti. La dicotomia è presto spiegata: posto che così non possiamo andare avanti, il sistema economico si ferma o si supera.

Bologna, 2021. Per tornare all’attualità, si trova un inaspettato cenno alla magnifiche sorti passate nel programma per le elezioni amministrative bolognesi, previste tra pochi giorni, di Potere al Popolo, una delle formazioni presenti alla manifestazione di venerdì. Cito solo due passaggi: Le amministrazioni comunali degli ultimi 30 anni, culminate nel decennio di Merola, hanno smantellato la logica di pianificazione urbana che un tempo governava questa città.

Bologna ha per la verità ereditato dal passato un sistema di trasporti concepito davvero come pubblico…

Richiami sulla stessa lunghezza d’onda ricorrono in diversi periodi del testo. A ben vedere, scorrendo le pagine del documento, ci si accorge che la «Bologna città pubblica» auspicata e invocata da PaP non è troppo diversa dalla Bologna – perlomeno, quella descritta dagli autori – di 40 anni fa, prima che l’ondata neoliberista si infrangesse, secondo il trend dell’epoca, anche sui nostri lidi urbani. Sta di fatto che, forse anche per questo, il motore della critica non va di pari passo con il motore della proposta, e così la giusta battaglia contro la turistificazione stile Ryanair&Airbnb sfuma in un generale “torniamo indietro”. La visione ha ceduto il posto al reset: un’immagine che, lo si riconoscerà, appare molto meno avvincente di un popolo unito che si riprende la città. Insomma, se nelle fabbriche la protesta procede con vigore e nelle piazze le scintille non mancano, alle urne avanguardie e retrotopie devono ancora trovare il loro tempo.

(Alberto Pedrielli)