Bologna. Virginio Merola passa il testimone a Mattia Lepore dopo 10 anni da sindaco. Iniziare non è stato facile, ma lo stesso si può dire quando si esce a fine mandato.

Che cosa resta di questi 10 anni?
“Premetto che toccherà ad altri, nel tempo valutare la mi attività politica e amministrativa, ma posso dire che ho lasciato una Bologna da vivere. Ho lavorato molto durante il mandato per recuperare i ritardi che si erano accumulati,  su problemi a cui erano stati dedicati fiumi di parole senza arrivare alle conclusioni; pensiamo al tram, al people mover e al passante per citare i casi eclatanti. Avevo ereditato un passato di cui dovevamo liberarci e allo stesso tempo la mia giunta ha introdotto un nuovo modello di spazio pubblico da vivere a partire dai T days, per dire che si poteva lavorare in modo nuovo e agire in diverse maniere a seconda delle occasioni e dei giorni. Abbiamo lanciato il turismo, perché sono state create le occasioni per promuoverlo, prima eravamo fermi ad un modello collegato alle fiere dimenticando che esisteva ormai un’altra domanda e quindi abbiamo ricordato che Bologna e la città metropolitana ha molto da offrire in termini culturali ed ambientali, proprio quelle cose che un area crescente di turisti va cercando”.

Che giudizio dà delle squadre che ha avuto al suo fianco?
“Ritengo che sia stato un bene caratterizzare la figura del sindaco non come quella di un uomo solo e al comando, ma al contrario come colui che esalta il lavoro collettivo degli amministratori. Arrivavo dopo 20 anni di instabilità da Guazzaloca a Cofferati a Delbono e quindi era importante dare una forte stabilità all’assetto di governo. Mi sono considerato, per usare un’espressione calcistica, un ‘mediano’ consapevole che solo il lavoro di squadra permette di fare goal. Mi auguro che questo stile rimanga; abbiamo vissuto la fase populista di un uomo solo al comando (sia a destra che a sinistra) ma abbiamo visto quanto queste carriere private siano effimere”.

Sembra di capire che non è un bel quadro quello che vede nella politica italiana?
“Non basta  il capo che fa e risolve tutto se non si costruisce, anche nella società, un rete di mediani che al netto delle ambizioni personali lavorano per obbiettivi decisi in maniera collegiale. Ed è quel che, drammaticamente, manca ai partiti attuali, ormai destrutturati. Se si vuole dare una chance alle forze politiche dopo l’esperienza di Mario Draghi, che ha sancita l’incapacità delle forze in campo di dare soluzione ai problemi del nostro paese, si dovrà scommettere molto non solo sul segretario di turno ma sul rilancio dell’intellettuale collettivo composto da persone che non si preoccupino unicamente delle loro personali carriere ma sappiamo lavorare per costruire una prospettiva politica e sociale alle comunità che sono chiamati a governare. E’ un passaggio decisivo per costruire una coalizione di centrosinistra imperniata sul partito democratico capace di esaltare il valore dell’aggettivo democratico.”

(m.z.)