Un’immagine al momento disponibile unicamente per i miei occhi ma che si rivela, e mi rivela, in tutta la sua disarmante realtà: per metà coperta dalla polvere smossa da mille scarpe di passeggiatori come me che si sono fermati seduti su questa panchina, un foglio, uno dei tanti, che ci siamo trovati tra le mani nell’occasione della campagna elettorale, una campagna di tipologia amministrativa ma che, inevitabilmente, rilascia, a volte in modo fin troppo evidente, precisi messaggi di natura politica. Forse può trattarsi di una condizione inevitabile, tuttavia.

Nel foglio che scorgo sul terreno tra le mie scarpe, un volto sorridente e rassicurante, accuratamente sbarbato e pettinato, un collo forse un po’ troppo massiccio che fuoriesce da un immacolato colletto di camicia, perfettamente bianca. Sotto il ritratto del candidato non riesco a leggere il nome: forse le piogge dei giorni passati non hanno avuto rispetto dell’uomo e, in parte agendo con l’acqua piovana a mo’ di detergente, in parte invadendo lo spazio con il fango, hanno reso illeggibile l’identità.

La cosa non mi interessa poi più di tanto. Mi colpisce, e non poco, la scritta sulla destra della foto del volto sorridente. Tre sole parole: “Sicurezza, famiglia, libertà.” Sintetico ma omni-comprensivo, che pur nella sua sinteticità lascia, e lascia intendere, al pensiero individuale tutto il mondo possibile. Infatti.

Come rinunciare alla sicurezza! Un termine ricco di sfaccettature messo lì appositamente per non lasciare adito a dubbi di sorta. Al suo interno l’integrità fisica personale, che non deve essere violata da chicchessia per qualsivoglia ragione, ma anche la sicurezza sanitaria, quella della quale ci ricordiamo solo quando non ci sentiamo troppo bene, quella che pretendiamo in piena efficienza e completamente gratuita, ma anche la certezza del lavoro, quel lavoro che ci consente di vivere con una certa dignità, quel lavoro che ci permette di veder crescere i nostri figli con la possibilità di fornir loro ogni supporto del quale possano avere bisogno, ma anche, e non da ultimo, la sicurezza di poter disporre di un po’ di tempo libero, senza pensieri o grattacapi, magari con un gelato tra le mani.

Da qui alla famiglia il passo è breve. C’è qualcosa di più prezioso della famiglia? Si può rinunciare all’affetto dei propri genitori? Della donna o dell’uomo che abbiamo scelto come compagna/o della nostra vita? E che dire di quei pargoletti tutto gioco e sorrisi che ci gironzolano tra i piedi incessantemente riempiendo ogni attimo della nostra vita? Certo che no! E poi occorre estendere il senso della parola stessa! Famiglia in senso tradizionale (maschietto e femminuccia) o in senso esteso? Estendiamo anche alle unioni LGBT, quelle di moda ora ma vecchie come il mondo?

E poi la libertà! Quella parola tanto semplice dal significato tanto complesso da essere fin tropo spesso fraintesa, mal interpretata o sottintesa. La libertà di fare tutto a modo mio o quella che mette rigorosi paletti dove inizia quella degli altri? La libertà di dire tutto quello che mi pare e gli altri, tutti, zitti? La libertà che prevede invalicabili recinti ben classificabili o classificati? O quella di Cicerone, quando affermava che ci si trova ad essere schiavi della legge per essere uomini liberi? La libertà in pesi e dosi diverse?

Mi scopro a sorridere piacevolmente adagiato sul legno della panchina intento a godermi questo bellissimo sole di ottobre. Mi sorge un dubbio. Non sarà che questo tepore preclude a temperature fuori norma? A inverni tiepidi inusuali? A torride estati come non se ne vedevano a memoria d’uomo? Non finiremo poi puniti con severità a mezzo di catastrofi naturali per la nostra dabbenaggine e superficialità (per tacere dell’ignoranza)? Poco importa. Questo sorridente signore impersonante la certezza dei valori supremi si occuperà del tutto e a noi altro non resta che inseguire la sua sicurezza nemmeno tanto palesemente nascosta nelle tre magiche parole del suo manifesto elettorale. E così sia.

Ma che splendido pomeriggio d’autunno! Qui, al sole, sento un leggero sudore sotto la maglietta di tessuto tecnico (lo chiamano così, ma in realtà si tratta della plastica una volta racchiusa nelle sembianze della bottiglia dell’acqua minerale ora tessuta in sottilissimi fili ingualcibili, anti-macchia, freschi con il sole e protettivi verso l’inclemenza del meteo, traspiranti ed eterni) e vengo assalito dal desiderio del dolce far-niente. Mi pare di udire finanche il frinire delle cicale. Ma si, devono essere le cicale! Cicale d’ottobre? Ma va là, che questo è un giornale serio! Eppure sono cicale, anche se il passare della stagione propizia deve aver modificato le loro ali che, al momento, producono un suono leggermente diverso, ma pur sempre un inconfondibile frinire: “Bla, Bla, Bla.” e ridajè: “Bla, Bla, Bla”. Un lieve frinire che produce certezza, sicurezza, letizia.

“Bla, Bla, Bla!”

(Mauro Magnani)