E’ appena uscito un libro di Michael Zantovsky, “Havel. Una vita” dell’editore La Nave di Teseo. Confesso che non l’ho ancora letto, ma la figura di Vaclav Havel è una di quella che mi ha sempre ispirato grande fiducia. Avevo letto i suoi testi ai tempi di Charta ’77, che è stata la più importante iniziativa del dissenso in Cecoslovacchia (allora Repubblica Ceca e Slovacchia erano una nazione unica). Il nome deriva dal documento del gennaio 1977, redatto tra gli altri da Václav Havel e originariamente sottoscritto da 247 cittadini di diversa estrazione.

Václav Havel

Motivato anche dall’arresto dei membri di una band di musica psichedelica, il documento criticava il governo della Cecoslovacchia per la mancata attuazione degli impegni sottoscritti in materia di diritti umani, tra i quali la Costituzione dello Stato, l’atto finale della conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (1975) e gli accordi delle Nazioni Unite sui diritti politici, civili, economici e culturali.

Già questo ci racconta molto di Václav Havel, un uomo di cui l’Europa di oggi dovrebbe andar grata e fiera. Il drammaturgo cecoslovacco, che ha resistito con tutta la sua forza ai soprusi del totalitarismo di chi governava allora dietro la “cortina di ferro”, andrebbe ricordato come Gandhi o Martin Luther King. E andrebbe celebrata l’epopea della “rivoluzione di velluto” che portò trionfalmente un intellettuale schivo, desideroso di passare la sua vita tra i libri e nei teatri, a diventare il Presidente della nuova Cecoslovacchia democratica, subito dopo la dissoluzione dei regimi dell’Est europeo a seguito della caduta del Muro di Berlino, nel novembre del 1989.

Figlio di genitori perseguitati già all’indomani del colpo di Stato del 1948 quando aveva appena compiuto 12 anni, Havel partecipò alla “primavera di Praga” del ’68 e per questo fu prima bandito e messo all’indice dai teatri soffocati dalla censura di regime, poi subì il carcere per oltre cinque anni dopo aver fondato il gruppo dei dissidenti di “Charta 77”.

Bisognerebbe rileggere il suo “Il potere dei senza potere” per capire quanto in lui fosse radicata la fiducia nei valori della democrazia, della libertà d’espressione, della tolleranza, dell’opposizione alla violenza di Stato, di cui il comunismo di Praga è stata compiuta espressione.

Il testo fu scritto nel 1978 ed edito in Italia da Cseo di Forlì, cui spetta il merito di aver tradotto opere di autori quali Karol Wojtyła, Józef Tischner, Václav Havel facendoli conoscere in Europa occidentale. Oggi è ripubblicato da un’altra casa editrice romagnola, Itaca di Castel Bolognese.

Dobbiamo molto a persone come Havel, protagonista di una lunga e dolorosa battaglia contro una dittatura feroce, abbattuta dalla inevitabilità della storia.

E la sua vita, raccontata dal suo portavoce Zantosky, merita di essere conosciuta e studiata.

(Tiziano Conti)