Imola. “L’alba di sangue” è l’opera prima di Nicola De Vita. Classe 1994, De Vita è da sempre un appassionato lettore. Dopo aver vissuto per cinque anni a Roma, dove ha studiato e si è avvicinato al mondo delle start up e dell’innovazione, ora risiede a Imola.
Il romanzo verrà presentato mercoledì 10 novembre, ore 20.30, al centro giovanile Cà Vaina di Imola (viale Saffi 50/B).
“L’alba di sangue è il mio primo romanzo ufficiale. Non è facile ricordare il momento in cui ho deciso che avrei potuto cominciare a scrivere questo libro. Custodisco un interesse per la storia di Roma antica fin da quando frequentavo le scuole elementari, per cui, probabilmente, la necessità di scrivere questo romanzo ha origini profonde, origini che affondano le loro radici in una parte della mia anima che i rumori del presente non mi hanno mai permesso di ascoltare attentamente”, ci racconta De Vita.
Ci sarà un’immagine, un momento che ha dato il là a questo lavoro?
“Se dovessi sforzarmi di ricordare il momento, il terremoto che ha dato inizio all’eruzione vulcanica che ha portato la mia necessità a emergere, non potrei non ricordare un viaggio a Roma nei giorni tra il 4 e il 6 febbraio 2020. In particolare, non potrei non ricordare il momento in cui, senza rendermene neppure conto, mi sono ritrovato a chiedermi il motivo per cui la nostra civiltà si fosse dimenticata del tempio di Minerva Medica, (uno straordinario rudere visibile in tutta la sua magnifica decadenza dai binari della stazione Termini). L’improvvisa sensazione di sconforto che mi rapì sul treno che mi riportava in Emilia-Romagna cominciò a liberare dalla mia anima un getto incontrollabile di riflessioni e sopra di esso, una domanda in particolare recitava il ruolo di regina: come avevamo potuto permettere che in Italia si dicesse che con ‘la cultura non si mangia’? L’amarezza inattesa mosse di conseguenza le mie dita che iniziarono a scrivere di getto un appunto nel quale immaginavo la dea della saggezza, Atena, costretta a vagare senza una meta tra le vestigia di un passato ricco di simboli ma povero di attenzioni poiché orfano di una saggezza perduta…”.
Oggi siamo nel 2021, non è passato tanto tempo…
“Appena tornato a Bologna, se qualcuno mi avesse detto che meno di un mese dopo quegli appunti così spontanei sarebbero diventati la base di un romanzo non gli avrei creduto. Nel frattempo la crescita esponenziale dei contagi da Covid-19 ha imposto a tutti di restare a casa. Un segno del destino? La necessità (quasi fisica) di scrivere, accompagnata alla volontà di raccontare l’inizio della nostra storia, sono stati quindi gli ingredienti alla base della mia decisione di (ri)tentare la stesura di un romanzo che sentivo voler nascere in modo sempre più impellente”.
Roma ha una storia lunghissima, come hai scelto il momento da cui partire per il tuo romanzo?
“Scegliere di dedicarmi ai fatti che precedettero la fondazione della città eterna (e alla fondazione stessa, di conseguenza) non è stato difficile. Se bisognava scrivere di Roma e del momento in cui la sua storia, e quindi la storia dell’Occidente hanno avuto inizio, non avevo molta scelta. Raccogliendo le fonti, ben presto mi sono tuttavia reso conto di un problema non secondario che ben conoscevo ma che non potevo più in alcun modo trascurare: la coerenza del racconto storico. Per sopperire all’evidente contraddittorietà delle fonti (o alla loro assenza) ho inventato spesso, di conseguenza, vicende e personaggi”.
A proposito dei personaggi, parlaci di loro.
“E’ opportuno che chiarisca in modo esplicito che ognuno di loro reca con un sé un significato poiché ognuno di loro rappresenta inevitabilmente un simbolo. Due personaggi in particolare ad esempio (un sacerdote e una maga di cui ora non farò il nome) emergono da questo romanzo come due convitati di pietra e si impongono sulla scena poiché rappresentano infatti un ultimo ‘colpo di coda’ del mito prima che la storia (e quindi la civiltà) comincino, (non a caso, la presenza del divino e del soprannaturale, come mi auguro si noterà, non è mai palese ma discreta)”.
Una volta messa la parola fine, cos’è per te “L’alba di sangue”?
“Nelle mie peggiori intenzioni, non è semplicemente un romanzo storico. La trama non si basa su un racconto storico documentato: i principali storici che raccontano la fondazione di Roma (Tito Livio e Plutarco) propongono spesso infatti, racconti divergenti e lacunosi. L’inattendibilità delle fonti e la loro stessa contaminazione leggendaria non consentono, in definitiva, di avere un quadro chiaro di che cosa accadde effettivamente quando nacque la Città eterna. Prima del VIII secolo a.C. gli archeologi hanno dimostrato che esisteva già un insediamento articolato in gruppi di capanni su un’area di circa 200 ettari intorno al Palatino. Ciò basta per avvalorare il racconto di Romolo e Remo? No, naturalmente, ma Roma non può comunque essere stata fondata dal nulla. L’indagine storica ha portato quindi gli esperti a supporre che ad un certo punto qualcuno, forse per merito di un’investitura regale, volle dare all’insediamento già citato uno statuto speciale e quindi delle leggi (non a caso, le tracce di fortificazione più antiche tutt’ora rinvenute risalgono alla seconda metà del VIII secolo, quindi intorno al fatidico 753). La leggenda che vede una lupa allattare Romolo e Remo è una leggenda ma è pur sempre parte del nostro patrimonio culturale (non a caso, la lupa capitolina è ancora oggi uno dei simboli più conosciuti di Roma nel mondo). Per cui, ricordare quei racconti all’origine della fondazione della nostra capitale è importante perché volenti o nolenti, essa è e sarà sempre un simbolo non solo del nostro paese ma dell’intera civiltà occidentale”.
Come definiresti allora “L’alba di sangue”?
“L’alba di sangue è un romanzo che racconta del difficile rapporto tra ragione e sentimento, coscienza e incoscienza, libero arbitrio e predestinazione ma è anche un romanzo che racconta il più grande paradosso della nostra umanità: la libertà che discende dai legami. Se la vita fosse un’incessante sequenza di nodi che leghiamo e sciogliamo? Se quei nodi fossero gli scogli contro cui, inevitabilmente, ognuno di noi deve fare i conti nelle difficoltà per ritrovare sé stesso e accettarsi? Lascio la risposta, anzi, le risposte a chi vorrà dedicare un po’ del suo tempo alla lettura di quest’opera”.
(v.z.)