Giuseppe Sacco – “Il decennio digitale“: con questo titolo lei, nel 2008, ha pubblicato un importante libro in cui ha raccontato le grandi trasformazioni indotte dall’avvento nel nostro Paese delle nuove tecnologie digitali e di comunicazione, nonché i conflitti politici e d’interesse che me seguirono.
Al centro degli avvenimenti c’era spesso la Tim. Negli anni successivi, tante cose sono cambiate. Eppure questa importante azienda resta ancora oggi al centro della vicenda. Anzi, proprio in questi giorni, attorno alla proprietà di Tim si sta giocando una partita che avrà grande rilevanza nel futuro del nostro paese. Non crede che, un po’ come fu con la privatizzazione di Telecom Italia più di un ventennio fa, siamo di fronte ad un passaggio strutturale?
Sergio Bellucci – Allora la privatizzazione di un gioiello industriale e strategico fu giocata con l’illusione di poter “spogliare” dall’interno il valore dell’azienda e rendere quel gioiello industriale nella disponibilità di quello o quell’altro amico della politica e, forse, anche in un grande scambio collegato al nostro ingresso nell’Euro. Molti attori, a partire da quel momento, sono entrati nel grande circo della privatizzazione; dagli Agnelli che pensarono di controllare l’azienda con percentuali risibili (senza metterci soldi per l’acquisto…) fino ai nuovi imprenditori, e ai Tronchetti Provera. Per poi arrivare alle grandi svendite spagnole o francesi, fatte tutte su tavoli “politici”, e a straordinarie partite di scambio con la partecipazione di “grandi gruppi italiani” che provarono a salvare loro stessi a danno della principale infrastruttura di comunicazione del paese.
Giuseppe Sacco – E gli attori politici?
Come gran parte del settore pubblico, le telecomunicazioni furono investite dalle privatizzazioni, impostate ed attuate dai governi di centro-sinistra, mentre molte delle forze di centro-destra li accusavano di non farle fino in fondo, di non lasciare tutto e definitivamente in mano al “mercato”. Ed è interessante notare che gli esponenti di queste ultime erano molto vicini a quelli che oggi dicono di voler difendere gli interessi degli italiani…
Giuseppe Sacco – Il suo libro ricorda tutte queste vicende?
Sergio Bellucci – Come diceva Tabucchi, “avere una buona memoria nel nostro paese… non è un privilegio”. Troppe verginità si ricostruiscono nel giro di una notte senza alcun pudore e senza pagare dazio… tanto chi paga sono sempre gli stessi…
Giuseppe Sacco – Questa vicenda torna però oggi di grande attualità…..
Sergio Bellucci – Esattamente! E nella più totale assenza di chiarezza, mentre l’opinione pubblica è tutta presa dai drammatici problemi della pandemia, e le cosiddette forze politiche si limitano ad una finta zuffa, che – come si direbbe se fossimo a teatro – serve solo a far divertire il loggione. Proprio mentre si stanno ipotizzando decine di miliardi per la “Transizione digitale”, si rischia di svendere ad un fondo di investimento americano la dorsale comunicativa del paese. Eppure, oggi sappiamo molto più di ieri – o almeno potremmo disporre delle informazioni per esserne consapevoli – quanto sia importante per la sovranità nazionale, economica e politica, e per poterla esercitare con gli strumenti della democrazia, il controllo imprenditoriale pubblico della rete di connessione, il sistema nervoso di un paese.
Giuseppe Sacco – Sembra un dèja vu, una vicenda simile a quella dell’Alitalia, dove abbiamo a lungo avuto i Francesi come partner. E non si vuole insinuare niente sottolineando che questa era almeno un’imprudenza, dato che i Francesi sono – e sono sempre stati, per ragioni del tutto ovvie – il nostro principale concorrente sul mercato turistico mondiale, rispetto al quale la gestione del servizio aereo ha una funzione cruciale….
Sergio Bellucci – Purtroppo è così! Abbiamo speso miliardi e forse giustamente, per tenere in vita la connessione aerea del nostro paese con il resto del mondo intervenendo più volte a evitare il collasso della compagnia di bandiera. Non vorrei che oggi commettessimo la stessa imprudenza, sottovalutando l’importanza di mantenere il controllo necessario ad una autonoma politica industriale nel campo dell’economia digitale. Oggi dovremmo dire che il governo italiano, agendo su Cassa Depositi e Prestiti, dovrebbe far sentire il proprio interesse a mantenere italiana la rete di telecomunicazione e, anzi, a rilanciarne il ruolo internazionale.
La Francia ha deciso di essere leader dell’auto elettrica e la Germania nella costruzione dei propulsori del futuro. L’Italia deve scegliere l’economia digitale come nuovo centro della propria rinascita produttiva. Per fare questo non può mettere la sua infrastruttura di base in mano agli interessi di un fondo finanziario il cui unico interesse è la redditività immediata (che si genera sempre spezzettando e riducendo i posizionamenti strategici) o, talvolta, anche il condizionamento a interessi che non solo non sono nazionali, ma di paesi concorrenti, o in qualche modo addirittura rivali.
Giuseppe Sacco – Si tratta dunque di una imprudenza relativa ad un settore assai importante?
Sergio Bellucci – Su questo non c’è dubbio. Ma forse si può dire di più, perché il silenzio della politica e l’estrema discrezione del governo – un governo estremamente tecnico, per la formazione del quale si è dovuto far ampio ricorso a personalità mai coinvolte nel processo della rappresentatività – di fronte ad un esito drammatico della vicenda TIM la dice lunga dell’asservimento e della incapacità a svolgere il ruolo cui il gruppo dirigente di un paese democratico dovrebbe essere chiamato.
Giuseppe Sacco – Eppure alcune forze politiche, sia fuori che dentro la maggioranza parlamentare, si dichiarano molto sensibili ai temi della sovranità economica. Anzi debbono ogni giorno difendersi dall’accusa di essere “sovraniste”.
Sergio Bellucci – “Sovraniste” e “populiste” nel senso corrente e spregiativo del termine lo sono certamente. Ma quando si va alla sostanza è facile accorgersi che i loro proclami alla sovranità sono solo demagogia. Esattamente come capita ai bei discorsi sulla difesa delle condizioni del lavoro o della competitività delle aziende fatta sui temi della tassazione o delle regole per i tamponi!
Giuseppe Sacco – Ma questo è quello che la destra ha sempre fatto! Non mi sembra che ci sia da esser molto sorpresi. Sono piuttosto le altre forze che appaiono criticabili. Le forze che si dichiarano “democratiche e progressiste”, e che in fondo lo sono effettivamente, almeno se si guarda al loro elettorato, e se si considera che certe loro alleanze, piuttosto dissonanti, sono spesso dettate solo da necessità tattiche.
Sergio Bellucci – La mia insoddisfazione, per non dire la mia irritazione, va infatti proprio a queste forze. Dovranno esser loro a prendere nella considerazione che merita il cruciale, il fondamentale settore dell’economia digitale. E invece non ci si può nascondere che, proprio mentre noi ne parliamo, la situazione, in questo settore, rischia di precipitare. Il Consiglio di Amministrazione di Tim convocato di domenica ha un significato drammatico per il nostro paese. Soprattutto, mette in luce come vi sia l’assenza di qualsiasi effettiva comunicazione, ed ancor meno dibattito, su quelle che sono le effettive posizioni del governo. Che, con la copertura delle cosiddette “forze politiche”, ci fa discutere di cose marginali mentre quelle che determinerebbero il futuro del paese vengono trattate nelle segrete stanze, al di fuori i occhi indiscreti.
Giuseppe Sacco – Il tema dovrebbe secondo lei essere dunque essere oggetto di un dibattito pubblico e politico?
Sergio Bellucci – Mi sbaglio, oppure non è così che in una democrazia vanno affrontati i problemi di tanto grande rilevanza? Quello del destino del settore digitale, più di molti altri su cui invece si fa molto chiasso, è uno di quei temi su cui andrebbe valutato il comportamento di quelle forze che vogliono far politica e non demagogia. Specie quando esse offrono sostegno politico ad un governo molto largamente “tecnico”, per non parlare della partecipazione ad esso. In alternativa, se gli uomini e le donne che hanno avuto il coraggio e l’ardire di assumersi responsabilità di governo in un momento così complesso, non dovessero intervenire rapidamente a difesa di quella che sarà in futuro la spina dorsale del nostro paese, andrebbe seriamente considerata anche l’ipotesi di una uscita dalla maggioranza.