Porca vacca! Esclamo affacciato alla finestra che dà sul retro della mia abitazione la quale, pur essendo piazzata in una zona dove il verde privato e pubblico non manca di certo, non riesce a regalarmi non dico un po’ di fresco, ma neppure una temperatura sostenibile. Avrei fatto meglio ad andare con Daniela al mare: almeno avrei potuto trovare un po’ di refrigerio nell’acqua… ma no, poi tutta quella calca, il chiasso, il traffico dell’andata e del ritorno… Porca vacca che caldo! E poi sono solo le quattro di un meraviglioso pomeriggio di agosto: qui prima delle otto non si respira.

Forse per la disperazione, forse per la noia o forse per il semplice fatto che ho pur bisogno di fare qualcosa, mi siedo al tavolo da lavoro, estraggo un foglio vergine dalla carpetta, me lo piazzo davanti e… e adesso cosa faccio? D’istinto, senza un minimo di inspirazione, riflessione o che altro, apro la scatola dei colori, opto per un nero del numero “00” e inizio a buttare giù linee curve quasi a caso.
Poi la mano, in modo del tutto autonomo inizia ad abbozzare i tratti e i contorni di una capigliatura maschile, un ciuffo disordinato sul lato destro della fronte, una basetta forse un po’ troppo lunga e le sopracciglia belle cariche e folte. A seguire tratteggio un naso lungo e sottile che finisce per assomigliare più ad un becco di aquila che ad un naso vero e proprio, ben distanziato dalle labbra, anch’esse sottili ma minute, a disegnare una bocca quasi da fanciullo. Finisco il tratteggio del viso in un ovale lungo, scarno con un mento solcato da una fossetta marcata.

Senza pensarci su due volte afferro i colori e inizio a dare ombre e toni a quel volto di mia pura fantasia: non male! Resto a lungo a guardare a quel ritratto che in fondo non mi convince più di tanto e sempre di slancio riprendo la “00” e contorno un bel foro quasi nel centro della fronte, ne annerisco i contorni e qua e là anche il centro del foro; poi il rosso, gocce di sangue che colano da quella che è, senza dubbio alcuno, una ferita di arma da fuoco. Un tocco di viola e di blu e il gioco è fatto.

Il mio soggetto si è beccato una bella pallottola in fronte e, adesso che inquadro meglio, sembra abbia proprio l’espressione dell’ignara sorpresa. Ancora un po’ di rosso per un flusso un attimo più copioso e finisco con il tratteggiare il collo che termina in un colletto di camicia alla francese, sbottonato nei primi due bottoni.

Osservo il mio capolavoro: mi soddisfa. Senza alcuna ragione precisa, lo arrotolo, raccolgo accendino e sigarette, chiavi di casa e mi dirigo alla porta. Fuori fa ancora più caldo e non si vede alito di vento a muovere una fronda. Passeggio a caso e mi ritrovo in un vialetto alberato in fondo al quale scorgo un prato verde ben curato. Proseguo e in fondo al vialetto mi arresto ad osservare: un angolo davvero ben curato, di un verde intenso, con alcuni stupendi tigli, di molti anni a giudicare dal tronco, e un angolo dedicato alla betulla. Proprio tra le sette betulle (sono certo di averle contate con cura) l’unico essere presente alla mia vista in mezzo a tutto questo verde. L’istinto fa si che io mi diriga esattamente verso di lui che mi sembra intento a scrivere su un piccolo portatile. Non mi sbagliavo: in posizione forse non comodissima sta picchiettando sui tasti con un ritmo non indifferente, piccole soste, poi riprende con lena. Si accorge di me solo quando gli sono arrivato appresso e si gira con un “Salve! Anche lei in cerca di fresco?”

Non riesco a rispondere e me ne resto lì immobile come un cretino ad osservarlo: l’uomo che ho disegnato poco fa nel mio studio, su quel foglio bianco che ora se ne sta arrotolato sporgente dal mio borsetto è “lui”: se avessi fatto il ritratto con lui presente nel mio studio non avrei saputo e potuto fare di meglio: stesso naso sottile e arcuato a forma di becco, ciglia folte e scure con sotto un volto scavato, quasi glabro. Poi il mento: la fossetta che lo divide … ah! la fossetta. E quel ciuffo di capelli disordinato sul lato destro del viso che quasi raggiunge la lunga basetta. Persino il colletto della camicia, alla francese e due bottoni… Mentre lo osservo, lo scrittore nota il mio starmene lì immobile e in silenzio e, con fare quasi preoccupato: “Si sente bene?”. Neppure riesco a rispondere e quando mi riprendo un poco me ne esco con un “Ci conosciamo?”.

“Non mi sembra. No, direi di no. Ma si sente bene?”
“Si, si, sono solo un po’ sorpreso, ecco tutto.”
“Sorpreso? Dalla mia presenza? Qui a scrivere? Beh, sa, io scrivo per mestiere, racconti gialli o polizieschi. In casa faceva un caldo boia e me ne sono venuto qua al parco?” Continua ad osservarmi mentre me ne sto immobile lì ad ascoltarlo: “Ma è certo di sentirsi bene? Ho qui con me una borraccia termica piena di acqua fredda: ne gradisce un po’?”

Non riesco a rispondere. Apro la bocca ma non esce verbo. D’impulso porto la mano destra al borsetto, estraggo il rotolo del disegno e lo porgo allo scrittore. Lui lo prende quasi inconsapevole, mi fissa per un po’ con aria interrogativa, poi lentamente svolge il foglio e solo quando lo ha ben teso lo guarda. Il suo volto cambia all’improvviso, mi osserva per un attimo poi ritorna al disegno. Si alza lentamente: “Ma questo sono io! Come ha fatto? Come è possibile? Ma è certo di non conoscermi, di non avermi incontrato prima… non so. Qualche mia foto su riviste con intervista… ne ho concesse alcune qua e là”.

“Guardi, ne sono certo, inizio, ho buttato giù i tratti ed il colore così a caso, di pura fantasia, pochi minuti fa nel mio studio. Non credo che ci siamo mai incontrati. Me ne ricorderei. Abita da queste parti?”

“Ma no, sono di Ancona, nato e cresciuto. Sono ospite in un appartamento di una cara amica dai tempi dell’università, ora impegnata in un convegno a Londra. Mi ospita nel suo appartamento fino al suo ritorno e io avevo bisogno di cambiare un po’ orizzonte per terminare nel modo giusto questo romanzo che devo consegnare entro fine mese. Qui riesco a lavorare molto meglio.  Si siede sull’erba e continua ad osservare il disegno. “Ma quello è un foro di pallottola? In pieno in mezzo alla fronte?” Assume un’espressione a metà tra la paura e la sorpresa: “Porca vacca!”

Mi rendo conto del suo e mio imbarazzo e tento una frase di rottura: “A che punto è del suo romanzo? Sta terminando come si deve”. Per un po’ continua ad osservare il suo ritratto nato dalla mia pura fantasia poi sembra riprendersi da un pensiero e: “Sì, si, sono alle conclusioni, sorride, il mio fuggitivo è arrivato in fondo alla corsa, meglio alla fuga, e io in fondo alla scrittura. La giustizia, nei panni di una bellissima poliziotta lo ha braccato e ho fatto in modo che lo raggiungesse proprio qua, in modo da non dover lavorare troppo di fantasia, qui ho la scena sotto gli occhi e riesco a renderla meglio. Il mio Silvano è stato raggiunto da due colpi alla schiena mentre tentava l’ennesima fuga e ora è a terra, raggiunto dalla bella poliziotta e cerca con gli occhi l’ultima luce del sole. Poi un po’ di epilogo e termino.”

“Ha detto Silvano?” Ci rendiamo entrambi conto del tono della mia domanda mentre ci guardiamo diretti negli occhi.
“Si, Silvano Pellegrini, un nome di mia invenzione.”
“Ma io, io mi chiamo Silvano Pellegrini!”

Un silenzio irreale tra di noi. Inconsciamente entrambi iniziamo a guardarci attorno come se stesse per accadere qualcosa, come se le sue parole scritte e le mie tracce di disegno definissero con estrema precisione la mia e la sua sorte. Qui. Ora. Il mio disegno terminato e le ultime righe del romanzo.

“Ma non avrà combinato qualcosa? Che so, un fatto per il quale lei sia ricercato…”. Porge questa domanda come se mi avesse chiesto come sta mia moglie, come va il lavoro, ha altri disegni con sé? E io, lì, ad accettarla come se chiedere a qualcuno se è un ricercato fosse la cosa più naturale di questo mondo.

“E lei, non avrà per caso qualche pendenza con qualcuno?”

Ce ne stiamo lì immobili a fissarci. Il silenzio rotto da qualche auto lontana che passa la sul viale, le mie e le sue gocce di sudore che si fermano sulle nostre ciglia. Fa un caldo boia. Riusciamo solo a restare immobili uno di fronte all’altro. Il quasi silenzio sembra innaturale. Come descritto nelle pagine dei libri. Poi…

(Mauro Magnani)