Nel periodo subito precedente alla chiamata dei cosiddetti “grandi elettori” è frequente assistere ad una serie di toto-nomi più o meno verosimili.
Prescindendo dalla scommessa sul nome di chi concretamente potrebbe essere il successore di Sergio Mattarella (al quale non possono non essere rivolti encomi per l’enorme senso istituzionale che ha da sempre dimostrato, alla faccia di chi oggi dice che è ora di un presidente patriota), la scelta potrebbe, auspicabilmente, ricadere su una donna, dopo una serie ininterrotta di uomini al Colle (ed anche alla presidenza del Governo).
Perché la scelta di una Presidente della Repubblica potrebbe essere un risultato di civiltà per il nostro Paese?
La risposta è apparentemente semplice. Sebbene la Costituzione sia chiara nel prevedere la parità di sesso e nell’imporre in capo allo Stato il dovere di rimuovere ogni ostacolo al raggiungimento di questo precetto, l’effettiva parità tra i sessi, anche intesa come realizzazione professionale e nelle istituzioni, è per molti ancora un obiettivo non raggiunto.
Se prendiamo la politica (ma potremmo fare anche molti altri esempi) solamente in epoca assai recente le donne sono entrate in politica e, soprattutto, è stata accettata la loro presenza a fianco dei colleghi uomini. Fino a non troppi decenni fa la politica, quindi anche l’attività di governo, era un affare esclusivamente maschile. Per rendere al meglio l’idea si pensi ai Governi che si sono succeduti dal 1948 (ad oggi sessantasette) con la totalità dei presidenti di sesso maschile con solamente due incarichi esplorativi affidati ad una donna (Nilde Iotti e l’attuale Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati). Pensiamo anche ai principali dicasteri dove solamente una manciata di anni fa abbiamo finalmente trovato una donna a guidarli. Per avere una donna agli Interni abbiamo atteso fino al 1998, alla Giustizia il 2012. Per entrambi i Ministeri il totale di donne al vertice sono ad oggi tre.
I numeri dicono quindi che le donne hanno ancora oggi difficoltà a ricoprire ruoli di vertice, anche per uno strisciante pensiero che queste non siano sufficientemente affidabili a gestire la cosa pubblica, a differenza degli uomini.
Cosa porterebbe quindi una donna al Quirinale? È ovvio che una elezione in tal senso non potrebbe risolvere il problema delle discriminazioni, così come l’elezione di Obama non risolse il problema del razzismo. Tuttavia, se la politica ha tra le sue innumerevoli ragioni d’essere anche quello di mandare segnali di cambiamento alla cittadinanza, una donna al Colle significherebbe che lo Stato ha finalmente raggiunto la maturità per capire che una donna non può in alcun modo essere considerata meno autorevole nel ricoprire una carica in particolar modo la massima carica prevista dalla Costituzione.
(andrea valentinotti)