Chi ha la mia età e qualche capello bianco, ricorderà sicuramente il libro “Lettera a una professoressa” di Don Lorenzo Milani, sacerdote guida della scuola di Barbiana nel Mugello, scomparso nel 1967.

Uno dei passaggi più belli del suo libro, che in tanti leggemmo nel 1968, è quando Don Milani spiega il significato del termine “I care”, il motto della migliore gioventù americana, “Mi sta a cuore”, l’esatto contrario del “Me ne frego”, tristemente famoso nel ventennio.

Valter Veltroni, uno di quei politici la cui assenza si fa sentire di più in momenti di smarrimento come questo, indicò la frase “I care” come tema del congresso del partito di cui era segretario.

Oggi “Caring” sta ad indicare la base per una leadership generativa, cioè che sappia originare situazioni capaci di costruire il futuro possibile per le nostre generazioni, rivolta sempre verso le persone, con la direzione di una conversione autentica e convinta dell’Io al Noi.

La Caring Leadership è un modello che sta sviluppandosi in quelle organizzazioni più attente a generare valore dalla mobilitazione di intelligenza collettiva e rivolta a favorire il consolidarsi di modelli di lavoro in cui il motore siano la fiducia e la condivisione di un comune scopo.

La capacità di cura è una abilità sempre più importante per la leadership che lavora sul collettivo. L’esperienza dell’impegno dedicato a sviluppare, accudire, dedicarsi a qualcuno o qualcosa, segna il significato che diamo alle persone, ai nostri progetti, e per questo è il collante necessario per costruire una squadra davvero appassionata ai propri obiettivi e ai conseguenti risultati.

Attraverso la cura che mettiamo nei nostri gesti, incontriamo il piacere di sentirci anche attori delle nostre esperienze. E mettiamo alla prova la nostra consapevolezza, allenando l’ascolto attivo e l’empatia. Ci permette anche di crescere come persone, perché la cura produce entusiasmo, che sappiamo bene essere la più forte leva motivazionale, che connette il team, e che ci rende “forti”.

La cura richiede impegno, costanza, dedizione ed attenzione: non è infatti il singolo gesto di cura ad attivare il senso di squadra, ma il percorso costante in cui prevalgano l’ascolto attivo e l’empatia proprio come porte che ci connettono in modo autentico agli altri.

E’ proprio nell’equilibrio tra noi e gli altri che si sviluppa la crescita. Un po’ come un genitore che accompagna i primi passi del bambino, ma che sa “mollare la presa” per permettere che suo figlio compia il suo cammino, cadute ed inciampi compresi.

Al Pacino, nello splendido monologo nello spogliatoio della squadra di football americano di cui è l’allenatore nel film “Ogni maledetta domenica”, usa queste parole per descrivere cosa si aspetta dai suoi giocatori: “Dovete guardare il compagno che vi sta accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che vi troverete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei. Allora, che cosa volete fare?”.

L’incantevole performance di Al Pacino, doppiato magistralmente da Giancarlo Giannini, si può vedere su YouTube.

(Tiziano Conti)