Nel mese di febbraio la rubrica letteraria “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, propone un nuovo tema di recensioni librarie: “La cultura mitteleuropea”. Romanzi nati nell’ambiente e nella tradizione culturale dell’Impero asburgico, fra fine Ottocento e primi Novecento. Buona lettura!
Può un’opera letteraria trasfigurare una cruda realtà in una forma così astratta da deformare, e quasi rendere irriconoscibile, l’immagine del mondo?
Si direbbe che sia questa la vocazione visionaria di gran parte della narrativa d’area mitteleuropea, fra fine Ottocento e primo Novecento, dove la drammaticità del presente viene filtrata attraverso un punto di vista onirico, a volte addirittura un’allucinazione spaventosa, i cui esempi più significativi furono i libri di Franz Kafka.
In questa direzione, anche se non nelle forme abbacinate di Kafka, si muove un romanzo del 1941, La novella degli scacchi del viennese Stefan Zweig (1881-1942), uno scrittore e drammaturgo che seppe riverberare le tragedie del suo tempo, in particolare dell’Europa lacerata dal regime nazista, in una forma allegorica ed evocativa.
La novella degli scacchi, ultimo libro di Zweig poco prima del suicidio, mentre si era rifugiato in Brasile per sfuggire alle persecuzioni hitleriane, prende spunto dal piacevole gioco degli scacchi, che tuttavia nel corso della vicenda finisce per assumere i caratteri di un’ossessione.
È la storia di un misterioso personaggio, il dottor B., il quale durante un viaggio in nave da New York a Buenos Aires sfida in una partita amichevole il campione mondiale di scacchi Mirko Czentovič, che per caso si trovava sulla stessa nave. E il dottor B, destando lo stupore generale, ottiene una patta.
Naturalmente tutti si domandano chi sia questo enigmatico dottor B. Si apre così, in una sorta di sistema di scatole cinesi, in un perfetto ingranaggio narrativo, un altro racconto dentro il racconto principale, ossia la storia del misterioso dottor B., che durante la notte spiega all’io narrante, altro passeggero della nave, quale sia il segreto della sua maestria scacchistica. Il lettore viene allora catapultato in un’atmosfera del tutto diversa, nella Vienna degli anni trenta, quando il dottor B., avvocato d’una stimata famiglia austriaca, consulente e amministratore patrimoniale addirittura di alcuni membri della famiglia imperiale austriaca, fu sottoposto alle spietate torture del devastante nazismo, con al centro il gioco degli scacchi.
È in queste pagine che Zweig tocca il vertice del suo carisma narrativo, quando cioè la dinamiche degli eventi si trasfigurano in un sontuoso disegno metaforico, dove la scacchiera diventa la mappa simbolica d’una irresolubile contesa: da un lato il campione Mirko Czentovič (emblema del nazismo), d’una chirurgica programmatica rozzezza, avido e spietato, privo di ogni minima aspirazione all’umanità; dall’altro il dottor B., raffinato e sensibile, colto e generoso, e per questo vulnerabile, destinato a soccombere.
Zweig ci offre uno scenario amaro, in apparenza senza scampo e speranza, del destino dell’umanità, eppure in un’elegantissima grazia stilistica, con un linguaggio così prezioso e garbato che riesce a stemperare la tragedia e a farci immergere in un orizzonte simbolista e visionario, mentale e ricercato: quello della letteratura.
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(Andrea Pagani)