“…Il febbraio pazzerello
ci ha portato il Carnevale…”
Così una filastrocca d’occasione delle nostre tradizioni popolari di cui Pierangelo Raffini ha parlato su Leggilanotizia il 14 febbraio 2021: vediamo di aggiungere qualche cos’altro.
Se tradizionalmente cade in febbraio, il Carnevale 2022 arriverà invece più tardi: “martedì grasso” quest’anno sarà infatti il primo marzo. Nei tempi andati si pensava che se il Carnevale fosse caduto di marzo vi sarebbero molti morti nel corso dell’anno… non ci resta pertanto che sperare nella infondatezza delle credenze popolari, considerata la già grave situazione epidemica attuale!
Le radici del Carnevale vanno ricercate in epoche remote quando la religione dominante era quella pagana, per cui si pensa che la ricorrenza tragga origine dai Saturnali della Roma antica, o dalle feste dionisiache del periodo greco classico. In quelle occasioni si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al “rovesciamento” dell’ordine costituito, allo scherzo e anche alla dissolutezza. Il carnevale fu dunque un periodo di festa, ma pure di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos regnava e cadevano le distinzioni tra le varie classi; poi, esaurito il periodo festivo, riemergeva rinnovato l’ordine sociale, almeno fino all’inizio del carnevale seguente.
Veniamo alla Romagna, in particolare a tradizioni delle campagne antiche ed oggi perdute e dimenticate, che ci possono talora apparire ingenue o strambe: eccone una serie.
In generale, il periodo carnevalesco era contrassegnato da un generale clima festivo.
Giovanetti mascherati da donne e uomini adulti, insieme a suonatori di violino, chitarra e cembalo, si recavano di casa in casa a fare serenate e addirittura si sparava con pistole per fare festa.
C’erano gozzoviglie con balli attorno a grandi fiaschi di vino da cui si beveva, poi l’ultimo giorno si doveva mangiare sette volte e subito dopo si faceva “la fagiolata”, consistente in una serenata alle ragazze senza fidanzato, le quali venivano derise con scherzi e lazzi.
Questo perché le ragazze di campagna a Carnevale andavano in parenti, lontano da casa, per essere più libere e magari trovare il fidanzato – anche se pare che parecchie non ci riuscissero.
Si potavano le viti negli ultimi giorni di Carnevale, meglio ancora il “martedì grasso”. Si percuotevano le piante perché così avrebbero dato più frutti. L’ultimo giorno di Carnevale si uccideva la gallina più vecchia, altrimenti, si credeva, sarebbero presto morte tutte le altre.
Gli ultimi 3 giorni di Carnevale si attendeva lo Scirocco e sempre l’ultimo giorno si faceva un falò per segnarne la fine, magari ballando e cantando una canzoncina.
“Brusa brusa Carneval
Che non possi più tornar
Fino alla notte di Natal”
Ancora.
“Par la Pasquétta, Carnvéll é sbacchétta”
C’era inoltre una tradizione curiosa: i contadini nelle veglie di Carnevale portavano sulle spalle o in trionfo il più benestante o il più pesante, probabile richiamo alla leggenda di Re Carnevale, che era un Re forte, potente e generoso.
Le porte del suo palazzo erano sempre aperte e chiunque poteva entrare nelle cucine della reggia e saziarsi a volontà, ma i sudditi approfittarono del suo buon cuore e si presero tanta confidenza da costringere il povero Re a non uscire più per non essere fatto oggetto di beffe ed insulti.
Un giorno si ritirò in cucina e lì rimase, mangiando e bevendo in continuazione, ma cominciò a sentirsi male: con il volto paonazzo ed il ventre gonfio capì che stava per morire, perché la sua ingordigia lo aveva rovinato. §
Gli sovvenne quindi di avere una sorella, fragile, snella e un po’ delicata, di nome Quaresima, che lui aveva cacciato di corte.
La mandò a chiamare e lei, generosa, accorse, gli promise di assisterlo e farlo vivere altri tre giorni, ma in cambio pretese di essere l’erede del regno.
Re Carnevale accettò e passò gli ultimi tre giorni della sua vita divertendosi il più possibile, per poi morire la sera del martedì, e sul trono salì Quaresima, che per risollevare l’economia del regno istituì lavoro duro e grosse penitenze.
Durante il Carnevale in Romagna, inoltre, si andava dal padrone con un regalo. Il significato simbolico di questa tradizione è duplice: da un lato, il servo si spogliava di qualcosa per darlo al padrone, a simboleggiare che anche chi ha poco può privarsi del superfluo per donare agli altri; dall’altro, vi era uno stravolgimento dei ruoli e delle gerarchie sociali che, in un certo senso, rendeva queste ultime più questionabili, meno rigide e statiche, e meno serie.
L’abbattimento dei muri sociali assumeva anche connotazioni drasticamente politiche. Feste in maschera, burle, lazzi e sberleffi caratterizzavano il periodo, ma non poteva certo mancare la politica, che i romagnoli avevano nel sangue. I modi azzimati, impettiti, il vestire stesso (magari riferendosi alle vecchie “culottes” dei nobili già derise ai tempi della Rivoluzione Francese) e ad ogni buon conto i costumi raffinati e signorili dei nobili e delle classi superiori venivano derisi dal popolo, e i popolani se la prendevano con i moderati, i liberali e i cosidetti “culandrén”, ovvero i monarchici, che erano definiti anche con toni ancor più spregiativi: i “bducì”, ossia “pidocchietti.”
Ancora oggi, seppur raramente, in Romagna si usa il termine “culandrino”, come ho verificato da una ricerca sui social: ci sono post del 2000, 2008, 2010, 2013, 2016, 2018, col significato di “fortunato” in contesti dove si parlava di automobili, corse dei cavalli, scommesse eccetera. In altra accezione decisamente omofoba si trova in un post del 2004 dove si descrive una auto color giallo canarino, con un riferimento ai gay; un accenno maggiormente esplicito è quello di utente social il quale nel 2011 per spiegarne il significato lo traduce, probabilmente travisandone il significato originario, con “culattone”.
“Culandrino” si trova, raramente, anche in alcuni romanzi recenti, tra cui quello di un autore forlivese, a testimonianza della persistenza in Romagna dell’uso di tale parola.
Andiamo all’origine dell’uso del termine: Aldo Spallicci, grande cultore e promotore dell’identità e delle tradizioni popolari della Romagna, ha raccolto a Forlì il seguente testo.
“Se ì culandrén i dis,
chi n’à brisa paura,
chi vègna drè d’la mura,
c’ai darè na tumbadura”
Una vera e propria sfida ai monarchici da parte della Romagna repubblicana e “rossa”.
In particolare ad Imola, una vecchia canzone popolare, cantata a quanto pare sull’aria della canzone risorgimentale “Marianna che va in campagna” (nata nel 1848 con funzione antiaustriaca e reperibile su YouTube) tratteggia l’atmosfera arroventata di quel particolare momento di fine Ottocento della storia romagnola: la cantavano gli avversari dei monarchici, impersonati dall’eminente politico Giovanni Codronchi, già Sindaco della città, parlamentare e Ministro, all’epoca principale esponente dei moderati in città.
“I culandrein
ia fatt n’a bella festa
e si la torna a fe
ai taiarin la testa.
I culandrein
i mercia in riga
i va in te casein
a sbelinghè la fxxx,
la mi murreina
la dis acse’
che Codronchi
l’è un birichein.”
(Il testo è stato reperito personalmente dallo scrivente in: Archivio Centrale dello Stato, Ministero di Grazia e Giustizia, anno 1885, busta 68).
Erano gli anni della fortissima contrapposizione in Imola tra i conservatori del già affermato, anche a livello nazionale, Codronchi, e l’emergente e in quei tempi vincente campo repubblicano-socialista capeggiato da Andrea Costa, da poco anch’egli deputato.
In realtà c’era stato un precedente con Codronchi avente ben altro ruolo il 14 febbraio 1869, allorchè un gruppo di giovani repubblicani della imolese “Società del Progresso” aveva colto l’occasione dei festeggiamenti carnevaleschi per creare disordini e tentare una specie di assalto al Palazzo Comunale, fermati e fronteggiati da Guardie e Carabinieri con i fucili spianati: solo l’intervento dell’allora giovane sindaco Giovanni Codronchi aveva evitato il peggio in quanto coraggiosamente si interpose tra i due gruppi, come bene ci racconta la “Cronaca Cerchiari”, quella specie di diario dei fatti imolesi di fine Ottocento.
Al di là delle frizioni sociali e politiche, comunque, il Carnevale romagnolo rimane tradizionalmente un periodo di divertimenti e sregolatezze. In Romagna i coriandoli e le stelle filanti delle feste si ritrovavano anche in tavola, nei piatti tipici del periodo tra cui i ravioli dolci, le castagnole e le immancabili tagliatelle fritte a base di sfoglia all’uovo, agrumi e zucchero! Le “chiacchiere” o “sfrappole” pare abbiano antecedenti illustri addirittura nel romano Apicio, il quale nel suo libro “De re coquinaria” descrive delle frittelle rettangolari distribuite fra la folla a base di uova e farina di farro tagliate a bocconcini, fritte nello strutto (quanto si usava, e si usa, in Romagna!) poi tuffate nel miele; dalle frictilia poi sono nate le “chiacchiere” che conosciamo noi oggi.
Infine citiamo Pellegrino Artusi, il quale ha pubblicato i menù di due ridondanti pranzi del mese di febbraio e soprattutto un altro dedicato a “Berlingaccio”, cioè la festa di “giovedì grasso”, il cui nome deriva da “berlengo”, “tavola da pranzo o da gioco”: ha anche il significato di persona grassa e rossa, come la maschera che rappresentava, in Carnevale, il giorno di “Berlingaccio”.
“Pappardelle con la lepre, o maccheroni a la bolognese – Crostini di tartufi – Budino alla genovese (vitella, pollo, prosciutto, burro, parmigiano, noce moscata, ecc.), Zampone o Salame al sugo di Ferrara, Cappone con insalata o Cappone tartufato, Dolce Torino (savoiardi, burro, rosso d’ uovo, latte, vaniglia, ecc.) e Gelato di aranci…”.
Non certo un menù alla portata dei nostri antichi contadini e “pesante” anche per noi, ma che, se vogliamo, possiamo tentare di riprodurre.
Per concludere, sappiamo che sono tante le feste di Carnevale in Romagna, ma qui segnaliamo solo alcune curiosità: ad esempio, talora nelle nostre terre non si rispettano le date canoniche e si sconfina invece nella Quaresima, nel periodo “proibito” dalla Chiesa, con usanze che affondano le radici nei secoli scorsi.
Già nell’Ottocento in Romagna il Mercoledì delle Ceneri veniva detto “il giorno di San Grugnone”, poiché le persone pensando alle rinunce imposte dalla Quaresima si rattristavano e facevano il muso (o, meglio, ”mettevano il grugno”): da qui lo spunto per il carnevale di San Grugnone a Conselice, dal 1919.
A Cotignola da oltre cinque secoli a metà Quaresima si celebra la “Festa della Segavecchia“: la leggenda narra che il Duca di Milano Francesco 1°, figlio del conte Sforza di Cotignola, avesse concesso ai sudditi la possibilità di celebrare il Carnevale anche in Quaresima come svago e ringraziamento per aver scampato un grave maleficio di cui fu accusata una vecchia, che venne arsa sulla pubblica piazza.
La Segavecchia di Forlimpopoli invece pare risalga almeno Trecento: la domenica della seconda settimana di quaresima, alla fine di una sagra che dura tre giorni, un fantoccio che incarna una vecchia signora, simbolo delle astinenze quaresimali, viene segata in due e dal corpo si riversano sui presenti, nocciole, castagne e fichi secchi, mentre impazza un clima di festa, tra musiche, carri allegorici, luci del luna park e prelibatezze culinarie.
La leggenda forse un po’ macabra narra che una giovane sposa, trovandosi gravida in tempo di Quaresima, presa da gran voglia di un “salsicciotto bolognese”, se lo trangugiasse ancora crudo tutto intero; peccato grave per il quale sarebbe stata condannata a morte. La giovane per non farsi riconoscere si era camuffata da “vecchia” sporcandosi il viso di fango, coprendosi di stracci e con in capo un fazzoletto, ma i boia la trovarono e l’uccisero con una enorme sega da boscaioli.
A Rimini il 18 marzo si tiene la Fogheraccia, o Focarina o Focheraccia: dedicata a San Giuseppe, ma derivante dagli antichi baccanali, la festa consiste nell’accendere grandi fuochi su cui bruciare resti delle potature, vecchi mobili e altro, mentre si festeggia e ci si abbuffa di salsicce (o sardoncini) e cipolle accompagnate da piade.
Il carnevale di Gambettola nasce oltre cento anni fa e da allora viene celebrato il lunedì di Pasqua e la domenica successiva, per assistere al corteo di carri oggi allestiti con pezzi rielaborati provenienti dalle sfilate dei carnevali più prestigiosi (ad esempio quelli di Viareggio e Cento) a sottolineare la vocazione del paese a raccogliere e lavorare i materiali di recupero.
A Bellaria Igea Marina c’è invece il Carnevale d’Estate, in programma a luglio, con carri allegorici e maschere a ritmo di musica.
Infine ad Imola abbiamo il “Carnevale dei Fantaveicoli”, pressochè unico nel suo genere, inventato di recente, ma legato alla tradizione del tutto imolese e romagnola dell’uso della bicicletta!
Come si vede, esiste una tipicità nelle nostre terre anche nelle date e nei modi per festeggiare il Carnevale.
(Marco Pelliconi)