Bologna. Legambiente Emilia Romagna rilancia il progetto di riconversione della cava di Monte Tondo (tra i Comuni di Casola Valsenio e Riolo Terme) anche nell’ottica di tutelare l’occupazione dei lavoratori della Saint Gobain. Lo fa in vista della manifestazione pubblica prevista il 6 febbraio a Casola Valsenio a sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori della Saint Gobain e della cava di Monte Tondo.

Da tempo l’associazione si è schierata contro l’ampliamento della cava, facendo emergere la necessità di attivare al più presto un progetto articolato di riconversione delle attuali attività. Una soluzione che terrebbe insieme la tutela del patrimonio naturale e la salvaguardia di occasioni di lavoro qualificato per i dipendenti oggi occupati e per la comunità locale.

Le tre ipotesi di Legambiente

– la verifica del possibile massimo utilizzo del cartongesso dismesso nello stabilimento di Borgo Rivola. Soluzione che permetterebbe di utilizzare molto meno materiale vergine e quindi di scavare meno. Infatti, diverse sono le realtà del territorio, legate alla selezione e alla raccolta di inerti nei canteri edili, che acquisiscono il cartongesso di recupero e sono poi costrette a collocarlo in altre regioni. Sarebbe quindi opportuno poter disporre di queste quantità.

– Il permanere a Borgo Rivola di una attività industriale che occupi un numero adeguato di lavoratori, anche nella futura ipotesi di riduzione e poi cessazione delle attività estrattive nella cava. In questo caso sarebbe auspicabile che l’azienda Saint-Gobain progettasse – anche con il contributo di tecnici, università e centri di ricerca – la fabbricazione di prodotti alternativi, da affiancare oggi al cartongesso per poi progressivamente sostituirlo. Alcune ipotesi possono essere i pannelli coibentanti, i pannelli di finitura, ecc., che vedrebbero l’impiego di argille e fibre naturali, come canapa o paulonia, che potrebbero essere coltivate in zona. Una soluzione che nel tempo porterebbe a costituire un distretto locale di materiali edili innovativi, che la Regione e gli Enti Locali potrebbero impegnarsi a promuovere e sostenere.

– Infine, senza sostituire le attività industriali che devono restare in quest’area, è necessario attivare nella zona iniziative economiche in altri settori: ecoturismo, didattica, tutela del paesaggio, realizzazione del parco geologico museale, anche nella prospettiva, ormai definita, della candidatura Unesco della Vena del Gesso e del suo patrimonio. Si tratta di idee già avanzate e sicuramente da sostenere, approfondendo le iniziative che l’Ente Parco ha in programma e le stesse ipotesi dell’azienda, per un ripristino innovativo e sostenibile della cava che farà da volano per ulteriori iniziative culturali e turistiche.

Queste proposte sono contenute anche in una lettera aperta del novembre scorso finalizzata ad aprire un confronto ampio e destinata a tutti gli interlocutori in campo: la Regione, che ha la responsabilità delle autorizzazioni, gli Enti locali, il sindacato, l’azienda, le associazioni e quindi la comunità locale.

Ad oggi c’è stato un riscontro da parte della Regione che, nella persona dell’assessore all’Ambiente Irene Priolo, ha dichiarato: “È tempo di ragionare di un distretto produttivo innovativo della filiera del gesso, importante per il recupero delle materie seconde”.

“Questa è esattamente l’ipotesi principale su cui riteniamo si debba lavorare per trovare una soluzione che sappia coniugare le ragioni della tutela ambientale e quelle del lavoro e dell’economia per gli attuali occupati e per la comunità locale – dichiara Legambiente – Per quanto ci riguarda torniamo a sollecitare l’apertura di occasioni di confronto, a cui intendiamo partecipare, con tutti gli interlocutori in campo: a partire dall’azienda, che ha le maggiori responsabilità, passando per le rappresentanze dei lavoratori, per arrivare alle istituzioni locali e regionali”.