Bologna. Il libro “Il lavoro operaio digitalizzato”, inchiesta nell’industria metalmeccanica bolognese, verrà presentato lunedì 7 febbraio, ore 17.30, Piazza coperta di Sala Borsa. Introduce Marco Madonia (Corriere Bologna).

Intervengono: Michele Bulgarelli (Fiom Bologna). Matteo Lepore (sindaco di Bologna), Alberto Vacchi (presidente Ima), Francesco Garibaldo e Matteo Rinaldini coautori del libro, Maria Enrica Virgillito (Scuola Superiore Sant’Anna). Sarà possibile seguire l’evento anche sulla pagina facebook della Fiom di Bologna.

Una ricerca ed un libro sulla digitalizzazione industriale

La Fondazione Sabattini (http://www.fondazionesabattini.it/la-fondazione) ha sviluppato nel periodo 2017 -2020, una ricerca commissionata dalla Fiom di Bologna su otto aziende metalmeccaniche, leader di tre settori:

  • automotive (Ducati e Lamborghini);
  • macchine utensili (Ima, Samp, Marchesini, GD);
  • fabbricazione di macchine di impiego generale (Bonfiglioli e Cesab).

I risultati sono stati riassunti, analizzati e commentati nel libro  (per i tipi della casa editrice Il Mulino) con il titolo “Il lavoro operaio digitalizzato. Inchiesta nella metalmeccanica bolognese” a cura di Francesco Garibaldo e Matteo Rinaldini.

La ricerca si è inserita in una lunga tradizione della Fiom di Bologna di indagini sul campo basate su metodologie di coinvolgimento diretto dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro rappresentanze aziendali. Ciò si è tradotto in 165 interviste, oltre che un lavoro preliminare di verifica con i consigli di fabbrica sulle situazioni aziendali. Le interviste coi lavoratori hanno riguardato “l’organizzazione del lavoro, le condizioni di lavoro, l’utilizzo di tecnologie riconducibili a Industria 4.0, la gestione delle Risorse Umane (RU) presente all’interno delle imprese e le caratteristiche delle relazioni industriali e sono durate da un minimo di un’ora ad un massimo di un’ora e mezzo”.

A questo gruppo di interviste si sono aggiunte altre 22 interviste con i manager aziendali “sulla traiettoria organizzativa e tecnologica adottata dall’impresa, i driver dell’innovazione, i cambiamenti dei modelli di business, ma anche i fattori critici presenti in questa fase di trasformazione.”

Il gruppo di ricerca ha costruito, assieme ai consigli di fabbrica, un campione di interviste che contenesse sia iscritti/e alla Fiom che agli sindacati e non iscritti/e. Sono stati coinvolti anche impiegati e impiegate.

Il gruppo di ricerca ha anche evitato di assumere ipotesi forte che avrebbero condizionato il carattere aperto della ricerca “per individuare pochi assunti sintetizzati come di seguito.

  1. a) Gli artefatti tecnologici riconducibili a Industria 4.0 sono molteplici ed eterogenei e ricadono sotto le definizioni ‘cappello’ di digitalizzazione e automazione di nuova generazione. Nonostante sia evidente la linea di continuità tra tali artefatti e quelli delle precedenti ondate di innovazione tecnologica, Industria 4.0 si contraddistingue per la capacità di combinazione delle tecnologie Big Data, l’uso estensivo e intensivo di Internet of Things (IoT) e la messa in opera del Cloud Computing.
  2. b) Il rifiuto del determinismo tecnologico, ovvero di una prospettiva che deriva le trasformazioni organizzative e delle condizioni di lavoro da supposte proprietà intrinseche delle tecnologie, ma allo stesso tempo il riconoscimento delle proprietà dispositive degli artefatti tecnologici, da intendersi come spazi di possibilità che le tecnologie (la loro progettazione e il loro utilizzo) aprono/limitano per l’azione organizzativa a livello micro, meso e macro.
  3. c) L’assunzione di una prospettiva che esclude la possibilità di studiare la tecnologia separatamente dal contesto organizzativo e istituzionale in cui è collocata e la conseguente adozione del concetto di ‘pratiche tecnologiche’ e la focalizzazione della dimensione istituzionale in cui queste sono collocate.
  4. d) L’idea che le tecnologie riconducibili a Industria 4.0 e i sistemi di Lean Production (il mainstream organizzativo attuale), al di là delle contraddizioni che possono generarsi durante la loro implementazione, siano per lo meno integrabili tra loro.” (cap. 3)

Il gruppo di ricerca ha preliminarmente svolto una rassegna critica della letteratura su Industria 4.0 e sulle conseguenze occupazionali della digitalizzazione che è stata riassunta nei due primi capitoli del libro. Il capitolo terzo riassume il disegno di ricerca; il quarto capitolo legge criticamente i risultati delle interviste ai manager. I successivi e finali quattro capitoli rendono conto dei risultati delle interviste ai lavoratori e alle lavoratrici.

Grazie alla disponibilità degli autori presentiamo ampi stralci delle loro conclusioni

Il libro, a parte i due capitoli iniziali di inquadramento teorico, riporta quanto si è potuto comprendere attraverso la metodologia di ascolto delle soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici esposti alla doppia trasformazione orga- nizzativa – i sistemi lean e ad alta prestazione – e tecnologica – Industria 4.0.

Pur nel rispetto delle specificità che presentano  le diverse imprese coinvolte nella ricerca, è possibile identifi- care alcune traiettorie comuni che sono emerse dall’analisi dei casi studiati. In tutte le imprese coinvolte nella ricerca sono in atto, anche se in diverso modo e in diversa misura, processi di standardizzazione delle attività lavorative, di densificazione dei tempi e di aumento dei ritmi lavorativi, di riconfigurazione delle gerarchie interne, di trasformazione delle competenze degli operatori non necessariamente verso

«l’alto» (anzi, in alcuni casi è stato riportato dagli intervi- stati un processo di impoverimento delle competenze), di diffusione di sistemi premianti (o sanzionatori) sul piano individuale e di monitoraggio della prestazione individuale sempre più stringenti e pervasivi. Tutto ciò si accompagna al riconoscimento, da parte degli intervistati, di significativi miglioramenti degli ambienti lavorativi sul piano della salute e sicurezza e dell’ergonomia delle postazioni e degli strumenti di lavoro. Inoltre, nel caso di alcune specifiche figure lavorative, anche dei reparti di produzione, si è certamente verificato un aumento di responsabilità e un parallelo incre- mento della discrezionalità, intesa come margine di azione all’interno di uno spazio eteroregolato, nello svolgimento della propria attività di lavoro, a cui tuttavia non sembra corrispondere affatto un aumento dell’autonomia, intesa come capacità di regolare (nei modi e nei contenuti) il proprio processo di lavoro. Allo stesso tempo, nonostante l’evidente incremento dell’adozione delle tecnologie 4.0 lungo i processi produttivi di tutte le  imprese  studiate, risulta evidente l’importanza che continua a rivestire la componente umana nel processo di lavoro, la sua capacità critica di azione e decisione, senza la quale «la macchina si fermerebbe», con buona pace dell’idea della fabbrica a luci spente che tanto ha affascinato e in certa misura continua ancora ad affascinare intellettuali e divulgatori.

Le descrizioni delle condizioni di lavoro e dell’organizzazione del lavoro che sono state raccolte e analizzate fanno giustizia di un’idea distopica delle trasformazioni in corso, senza che ciò renda meno forte una loro valutazione critica, aprendo così la strada ad una riflessione propositiva. Valutazione critica resa possibile dal presupposto generale illustrato nel primo capitolo, da cui ha preso le mosse la presente ricerca, ovvero l’assunzione non deterministica della tecnologia. È solo a partire da qui, infatti, che è possibile porsi certe domande.

È di pertinenza del sindacato la contrattazione sulla tecnologia? Quanto è compito dei delegati e delle delegate costruire contrattazione sul processo  di  lavoro  mediato dalla tecnologia? Quanto la contrattazione sulla tecnologia riapre spazi di appropriazione e rifunzionalizzazione del sindacato, all’alba della nuova esigenza imposta da Industria 4.0 di dovere contrattare anche sull’algoritmo che definisce i tempi e i ritmi?

L’evidenza delle imprese digitalizzate dell’industria metalmeccanica bolognese ci racconta che è possibile entrare nel processo di adozione dell’artefatto tecnologico declinando l’uso della tecnologia secondo una prospettiva di miglioramento del processo di lavoro, ponendo limiti all’intrusione della sorveglianza algoritmica laddove richiesto, ma anche favorendo e sollecitando l’utilizzo di nuova tecnologia avanzata se essa migliora l’ergonomia e la qualità del lavoro. Ci racconta di un sindacato che ha spinto per favorire investimenti aziendali volti alla realizzazione di siti a maggior grado di integrazione tecnologica e che non arretra rispetto al nuovo, ma propone soluzioni su come declinarlo. Questi risultati, tuttavia, dipendono dal verificarsi di alcune condizioni.

La prima condizione riguarda l’attività di monitoraggio e lo sviluppo di conoscenza fine e continua del processo di lavoro da parte degli stessi lavoratori: dai diritti di informazione degli anni settanta alle commissioni tecnico-bilaterali degli anni ottanta/novanta, il sindacato è in grado di avere un ruolo sull’adozione delle tecnologie, e quindi di Industria 4.0, solo nella misura in cui è in grado di conoscere. Conoscere, d’altra parte, significa promuovere inchieste di fabbrica, la conricerca o la ricerca-azione per dirla in salsa moderna. Perché ciò possa avvenire, sono necessari investimenti intellettuali e politici all’interno dell’organizzazione sindacale che riconoscano come la creazione di conoscenza diffusa e capillare del processo di lavoro e dell’influenza dell’artefatto tecnologico sulle  modalità  con  cui  l’attività di lavoro si svolge e si modifica, sia la conditio sine qua non possa avvenire la contrattazione sull’algoritmo. Perché, certamente, l’algoritmo investirà ampiamente la nuova fase della contrattazione.

La seconda condizione è creare gli spazi e le opportunità per la definizione e la costruzione di tale conoscenza. Merito delle relazioni sindacali bolognesi sta nell’avere sviluppato competenze molto peculiari su cosa sia ad esempio un takt time e su come agire su di esso modifichi sia gli spazi di intervento che la capacità di intervenire sul processo di lavoro. Inoltre, la conoscenza dell’intero processo produttivo, delle sue fasi, quelle interne e quelle esterne all’impresa, permette di individuare sia i segmenti di produzione che producono valore aggiunto, che quelli a basso o minore valore aggiunto, secondo la valutazione tecnico-produttiva. Considerato che l’automazione e la digitalizzazione, congiuntamente al modello lean, saranno sempre più orientate all’eliminazione delle fasi a zero valore, è lì, su quei segmenti, che il sindacato deve agire per investigare dapprima se, in che senso e in che misura siano fasi a zero valore, e secondariamente

come  proteggere  e/o  riconfigurare  queste  fasi  e,  quindi, i lavoratori in esse coinvolti. L’attenzione crescente, che emerge dalle interviste, verso il tempo di lavoro e le sue trasformazioni legate ai processi di digitalizzazione, quali la sua crescente densità dovuta all’eliminazione di ogni forma di porosità, apre una nuova fase di sperimentazione nego- ziale. La consapevolezza dell’importanza della tutela verso le forme di controllo cibernetico e il rischio di svuotamento delle competenze indicano una positiva strada di crescita dell’iniziativa sindacale.

La terza condizione è non cadere nella tentazione di possibili corporativismi aziendali e di convergenza verso modelli di dualismo, in cui ci si ritiene soddisfatti delle vitto- rie dei singoli siti, ma si lasciano cadere le rivendicazioni di categoria. Alla luce delle divergenze del tessuto produttivo italiano e delle asimmetrie nelle condizioni di lavoro, negli inquadramenti, nella carriera, ma anche nell’adozione del modello lean digitalizzato, il sindacato deve avere la lungi- miranza di ritrovare e rafforzare la spinta anticorporativa e universalista dei primi anni settanta. Qui vengono utili le riflessioni critiche, basate sulla  letteratura  internazionale, sui modelli partecipativi nordeuropei, considerati per un lungo periodo di tempo come modelli positivi, in special modo nella loro versione più radicalmente anticorporativa e di progettazione per la democrazia (capitolo 1). Il problema è quello della  nuova  fase  capitalistica,  rappresentata  per un verso dalle catene di subfornitura e, nella versione più recente, dai sistemi misti di aziende produttive e di servizi integrate in reti, e per l’altro verso dalla finanziarizzazione. La tradizionale capacità, nel caso delle aziende leader bolognesi, di contrattazione aziendale va oggi rideclinata verso queste nuove strutture produttive, pena una nuova gerarchia delle condizioni di lavoro e una regressione corporativa del sindacato.

C’è, quindi, un terreno aperto di sperimentazione del sindacato dal punto di vista della sua organizzazione e delle sue forme di rappresentanza democratica. Le strutture esistenti, come i vari comitati, vanno proiettate verso questa dimensione inclusiva. Il problema della finanziarizzazione riporta all’attenzione del sindacato la sua tensione, ben presente prima della sconfitta dell’Ottanta, verso una capacità trasformativa della società nel suo insieme, oltre un orizzonte puramente capitalistico. L’universalismo si manifesta anche nella capacità di mantenere i sistemi di valutazione della performance come risultato di processo e di fasi e mai come risultato individuale, nella capacità di chiedere all’impresa che il welfare, come gli asili nido negli anni settanta, sia pagato con contributo dell’impresa e non con il favorire un sistema di welfare privatistico; che la contrattazione sullo smart-working debba passare da accordi minimi di settore, per evitare le derive del  particolarismo.  Se  la  sconfitta della marcia dei  quarantamila  ha  segnato  lo  spartiacque sul processo negoziale del sindacato su tecnologia, tempi e metodi di lavoro, lungi dall’auspicare le derive funzionaliste del sindacato come nuovo comitato digitale d’azienda, la digitalizzazione può servire come occasione per rimettere in discussione il rapporto tra umano e il nuovo sistema cibernetico, con la bilancia dei contrappesi spostata verso l’intelligenza e la capacità di intervento del primo.

(m.z. – foto di copertina di Claude AI – https://claudeai.wiki/)