Nel mese di febbraio la rubrica letteraria “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, propone un interessante tema di recensioni di libri: la cultura mitteleuropea, romanzi nati nell’ambiente e nella tradizione culturale dell’Impero asburgico, fra fine Ottocento e primi Novecento. Buona lettura!
Non è un caso che Stanley Kubrick, per il suo ultimo e tredicesimo film, Eyes Wide Shut, si sia ispirato al romanzo di Arthur Schnitzler Doppio sogno, edito nel 1926.
Non è un caso perché le atmosfere oniriche, surreali, non di rado inquietanti e d’una conturbante equivocità che sempre hanno attratto il grande regista statunitense, si riconoscono con efficacia in questo meraviglioso libro di Schnitzler, uno dei più importanti scrittori della società viennese mitteleuropea.
Benché il capolavoro di Kubrick del 1999, interpretato da Tom Cruise e Nicole Kidman, sia ambientato in una New York contemporanea, ben diversa della Vienna di fine Ottocento di Schnitzler, le atmosfere metafisiche restano le medesime: città fuori dal tempo, spettrali, che sembrano uscite da un incubo notturno più che da un preciso contesto reale.
Si racconta, infatti, la rovinosa vicenda di una benestante coppia borghese (il medico Fridolin e l’affascinante moglie Albertine), gettata in un precipizio di ossessioni e tormenti: dopo la confessione, da parte di Albertine, del sogno di un adulterio con un giovane durante una vacanza in Danimarca, il dottor Fridolin si perde fra le strade di una città fantastica, allegoria evidente dell’immersione negli abissi dell’inconscio, dove il “doppio sogno” (il sogno erotico di Albertine e il sogno nella città notturna di Fridolin) innesca una crisi nella coppia e suscita il risveglio delle pulsioni oscure dell’io, sensualità e desiderio di vendetta, fino a sprofondare in un’esperienza di tenebra e di perdizione, dove i valori borghesi vengono miseramente a crollare.
In questa prospettiva, il film interpreta alla lettera la chiave simbolica del libro, come un allucinante viaggio freudiano nella psiche umana, dove i turbamenti della mente si riflettono sulla realtà metropolitana e dove i vicoli oscuri abitati da ladri e prostitute sono i gangli labirintici di un magmatico cervello.
Anche i sofisticati giochi di luce e ombra del libro rivestono un ruolo fondamentale nella dinamica della storia, così come le pulsioni di vita e di morte vengono contrappuntate dalle accese e persistenti variazioni cromatiche del rosso nel film, a volte con toni minacciosi, altre volte d’intensa evocazione sensuale (mentre le luci dorate in una scena di dialogo al bar fra Fridolin e un pianista trasmettono un’angosciante suggestione da patto mefistofelico).
Siamo di fronte ad un intramontabile gioiello di scrittura, una magnifica metafora del tema del doppio, dell’impossibilità di un linguaggio univoco, dove tutto ha il suo rovescio e tutto rischia di cambiare senso nel contrappunto del sogno e dell’illusione. E dove viene in mente la meravigliosa intuizione di Gérard de Nerval in Aurélia: «Le rêve est une seconde vie» (Il sogno è una seconda vita).
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(Andrea Pagani)