Bologna. Un’altra tappa per le sardine. Pochi giorni fa il movimento ha condiviso attraverso i suoi profili social il proprio Manifesto.
Il documento è il prodotto dell’assemblea nazionale di pochi mesi fa, in cui le attiviste e gli attivisti si sono confrontati sul percorso in un luogo dall’alto valore simbolico, la “Scuola di Pace” di Monte Sole. Al suo interno, le sardine rispondono a tre questioni fondamentali per un progetto politico che voglia essere all’altezza di questo nome: identità, struttura, bisogno. Il punto più importante forse è proprio quest’ultimo: le sardine intendono farsi carico di un’azione di cambiamento volta a una trasformazione positiva della cultura politica. In epoca di populismi, sovranismi e neofascismi, una nuova “politica della cura” è l’unico orizzonte possibile per superare tutti i nodi che stritolano la nostra società, dalle crescenti disuguaglianze socio-economiche alla disillusione e disaffezione nei confronti del sistema politico e istituzionale.
La carta è un atto di grande interesse non solo per comprendere la direzione del banco, ma anche perché rispecchia in maniera decisamente fedele un sentimento che alberga in ampia parte della popolazione. Una parte che non si sente più ascoltata, che continua a percepire un vuoto assoluto di fronte ai meccanismi sempre più autoreferenziali di una politica che appare ai più chiusa su sé stessa. Il dibattito emerso in questi giorni sulla futura creazione di un “grande centro”, in questo senso, si dimostra particolarmente significativa e dà ragione una volta di più a quanti si sentono esclusi da un processo di rappresentanza che vede una marginalizzazione costante di posizioni alternative allo status quo. Insomma, la convinzione che “un altro mondo” sia necessario, come risuonato nelle strade di Genova in occasione del ventennale del G8 lo scorso luglio, c’è ancora. Quello che manca, ormai da troppo tempo, è una struttura che garantisca una realizzazione collettiva di speranze che, fino a oggi, sono rimaste impresse nelle menti dei singoli. E qui il secondo punto.
Uno dei drammi consumati nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica è che i meccanismi di collegamento tra società e istituzioni si sono dissolti. Qualcosa è sopravvissuto, è vero, ma la sensazione condivisa è che il vecchio mondo è morto e il nuovo tarda a sorgere. In questo chiaroscuro, nascono sentimenti di nostalgia inspiegabili per chi non ha neppure vissuto quello che c’era prima, da un lato, populismi autoritari pronti a scagliarsi contro nemici invisibili, dall’altro. Le parole messe nero su bianco dal movimento portano quasi inevitabilmente a una ricostituzione, sui binari di uno sviluppo intellettuale del quale si devono ricreare dal basso le condizioni di possibilità. Manca la scuola, in sintesi. Mancano organi di formazione e auto-formazione, che sappiano andare al di là delle occasioni spot facili da “vendere” sui social media ma dall’impatto molto – molto – limitato nella realtà dei fatti. All’indietro, siamo arrivati al primo punto. Tra le righe, le sardine provano a candidarsi non nelle fila di un partito, ma in qualità di tavolo di confronto permanente dove mettere a frutto le energie che ora non sanno a chi rivolgersi. Ora una bussola c’è.
(Alberto Pedrielli, attivista del gruppo 6000 sardine)
Parole, parole, parole…