Nel mese di febbraio la rubrica letteraria “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, propone un interessante tema di recensioni di libri: la cultura mitteleuropea, romanzi nati nell’ambiente e nella tradizione culturale dell’Impero asburgico, fra fine Ottocento e primi Novecento. Buona lettura!
Lo spazio e le immagini in letteratura sono sempre studiati di meno del tempo e del racconto. Ci si concentra spesso sulla trama, sui personaggi, sull’evoluzione dei fatti, invece che sugli oggetti. Eppure, ogni opera evoca o descrive cose fisiche. Oggetti. E questi oggetti, non di rado, rivestono un ruolo decisivo, risolutivo, epifanico, una sorta di rivelazione fondamentale per lo scioglimento della vicenda o per la condizione esistenziale degli uomini.
Questi oggetti della letteratura, di cui si sono occupati in anni recenti gli studiosi Francesco Orlando e Massimo Fusillo, assumono una funzione determinante nel raffinato romanzo dello scrittore praghese Franz Werfel Una scrittura femminile azzurro pallido, dove, nella fattispecie, una lettera determina una svolta nevralgica, o meglio tellurica e rovinosa, nella vita del protagonista.
Siamo nel pieno della cultura mitteleuropea. Vienna, 1936.
Leonida, un cinquantenne di successo, alto funzionario ministeriale, sposato con la splendida e ricchissima Amelie Paradini, il giorno del suo compleanno trova un misterioso messaggio d’auguri, una busta vergata in inchiostro “azzurro pallido da una scrittura femminile”. Leonida conosce bene la grafia della busta. E la missiva gli scatena un’ondata di memorie e paure: infatti la donna che gli scrive, Vera, è stata la sua amante diciotto anni prima ed ora gli chiede un favore che potrebbe costargli molto caro, facendogli perdere tutti gli agi e il potere che dipendono dal denaro della sua adorante e possessiva moglie.
La lettera assurge così a elemento oggetto simbolico e gnoseologico: è una chiave di introspezione e conoscenza, lo strumento con cui Leonida porta alla luce una storia lontana, sommersa, sepolta nella memoria come «una tomba interrata che nessuno riesce più a localizzare», tant’è che il protagonista arriva a domandarsi se quell’amore perduto sia stato il più grande, forse l’unico vero amore della sua vita.
L’animo del protagonista comincia così un lacerato movimento pendolare, un combattuto e sofferto dilemma: se accogliere e accondiscendere alla richiesta di Vera, rischiando di mettere allo scoperto un passato ingombrante; oppure se continuare la sua vita, nel rassicurante ma ipocrita perbenismo della società che lo protegge, quella dell’alta borghesia viennese, tratteggiata magistralmente con rapide pennellate da Werfel.
Naturalmente l’oggetto epistolare diventa un pretesto narrativo, un motore introspettivo, nell’atmosfera della cultura mitteleuropea influenzata dagli studi della psicoanalisi, che Werfel, allo stesso livello Zweig, Schnitzler e Kafka (col quale Werfel ebbe contatti), riverbera in uno stile esatto, lucido e trasparente.
Ma c’è anche di più.
Una scrittura femminile azzurro pallido, pubblicata a Buenos Aires nel 1941 quando l’autore era in esilio, costretto ad emigrare per le leggi razziali naziste, si può leggere anche come un amaro congedo dello scrittore da tutta la civiltà mitteleuropea.
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(Andrea Pagani)