La reciprocità è un principio potente: una norma sociale universalmente diffusa, formalizzata in tutti i principali codici morali e religiosi. Un principio così potente da interferire perfino con il funzionamento dei mercati economici. I mercati, il regno dell’interesse personale, nella lettura più semplicistica, appaiono quanto di più lontano dall’etica della reciprocità, da ogni etica, a dire il vero.
Eppure, le cose non stanno proprio così.

Fordismo (Foto Wikipedia)

Era il 5 gennaio del 1914 quando Henry Ford annunciò un piano di ristrutturazione organizzativa epocale per le sue fabbriche e per i suoi lavoratori. I pilastri di questo piano erano essenzialmente due: la riduzione dell’orario di lavoro da nove a otto ore al giorno e l’aumento della paga giornaliera da 2,34 a 5 dollari; più che raddoppiata. Questi due provvedimenti, da soli, facevano aumentare i costi di dieci milioni di dollari, mangiandosi la metà dei profitti previsti per quello stesso anno. Ma Ford si dimostrò irremovibile; contro il parere di tutti gli analisti finanziari, decise di andare dritto per la sua strada. E fece bene. Quell’anno, infatti, benché il salario fosse aumentato del 105%, il costo del lavoro registrò un incremento solo del 35%. Questo perché assieme al salario aumentò anche la produttività dei lavoratori del 50%, si ridusse il turn-over, dal 54 al 16% e sparì quasi del tutto l’assenteismo, passando al 10 al 2,5%.

Grazie a questi numeri i profitti invece di diminuire, crebbero dai 27 milioni di dollari del 1913 a più di 40 milioni nel 1915. Cos’era successo? Era successo che Ford era riuscito ad intuire che anche sul posto di lavoro il principio di reciprocità è una leva potente che motiva ed agisce.

Dietro il comportamento del loro datore di lavoro gli operai videro un’intenzione positiva e decisero di reciprocare. Ford aveva deciso di pagarli più di quanto avrebbe dovuto e per questo loro decisero di assentarsi meno, di lavorare meglio e di smettere di cercare posti di lavoro migliori, visto che quello che avevano era improvvisamente diventato il migliore.

Lo stesso Ford commentò in questo modo quella svolta epocale: “Non era certamente una forma di beneficenza (…) Volevamo pagare alti salari in modo che la nostra attività si potesse fondare su basi durature. Stavamo costruendo per il futuro. Un’attività con bassi salari è sempre insicura (…) Il pagamento di cinque dollari al giorno per una giornata di otto ore è stata una delle migliori mosse di riduzione dei costi che abbiamo mai fatto”.

Daniel Raff e Larry Summers, gli economisti dell’Università di Harvard che hanno analizzato il caso, concludono il loro studio così: “Sebbene sia ovvio che raddoppi improvvisi dei salari non sono diventati comuni anche dopo le azioni di Ford, ci sono prove che la scelta di Ford abbia comunque influenzato i modelli salariali”.

Oggi le basi di quel comportamento sono note come “fordismo”, un processo che mira a un’efficienza produttiva ottimale, raggiungibile attraverso una pianificazione precisa e rigorosa delle fasi produttive, in particolare di ogni singola operazione.

Tra i pilastri della metodologia rientrava l’utilizzo della catena di montaggio, la quale oltre a meccanizzare, e quindi a semplificare e velocizzare le attività, dettava i ritmi di lavoro.

La catena di montaggio si preoccupava di far arrivare davanti all’operaio l’elemento sul quale lavorare, sconvolgendo totalmente il concetto di lavoro artigianale fino a quel momento conosciuto e utilizzato.

In sintesi, potremmo dire che il modello di Ford era impostato su una politica finalizzata ad offrire un prodotto standard a prezzo vantaggioso.

Però per quanto meccanizzato il processo produttivo richiedeva comunque l’intervento umano; Henry Ford comprese che le risorse umane rimanevano comunque fondamentali, per cui si preoccupò di garantire loro una serie di incentivi, come abbiamo visto sopra.

Una lezione, anche se con aspetti chiaroscuri, di cento anni fa che forse vale ancora oggi!

(Tiziano Conti)