La nostra rubrica letteraria, “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, dà il via ad un nuovo tema monografico, che ci accompagnerà per 5 puntate nel mese di marzo: la letteratura disegnata, ovvero la graphic novel, romanzi a fumetti. Un’interessante forma narrativa, a metà strada tra il genere letterario e il meccanismo del fumetto. Buon divertimento!
La letteratura, nella sua inesauribile ricchezza di forme, generi e soggetti, si può declinare in varie armonie: può essere racconto o poema in prosa, poesia, pièce teatrale o sceneggiatura per il cinema, e addirittura anche romanzo d’immagini. Letteratura disegnata.
Nasce negli anni Settanta in America (anche se alcuni embrioni sono attestati negli anni Sessanta nelle opere di Richard Kyle), la cosiddetta graphic novel, ovvero il romanzo a fumetti, una forma narrativa a metà strada tra il genere letterario e il meccanismo del fumetto, in cui le storie hanno la struttura del romanzo, quindi auto conclusive e con un intreccio sviluppato, e dove le battute del personaggi non si esprimono necessariamente attraverso il balloon (nuvoletta), ma attraverso un testo discorsivo e poetico.
Il maestro indiscusso del genere è il newyorkese Will Eisner (1917-2005), che ci ha consegnato alcuni intramontabili capolavori come il Contratto con Dio. Eisner, dopo aver ribaltato negli anni Quaranta i canoni estetici e linguistici del fumetto popolare con un personaggio innovativo come Spirit, e dopo un lungo periodo di “riflessione”, approda negli anni Settanta ad una nuova forma di scrittura, del tutto rivoluzionaria, sia per il tratto del disegno, sia perché il pubblico, abituato a supereroi in calzamaglia, a eroici poliziotti, a storie di mostri e dischi volanti, per la prima volta si trova di fronte a un paesaggio umano crudo e amaro, desolato e autentico, disperato e pieno di vita. Storie di miseria e umanità newyorkese. È stato detto, con pertinenza, che con il Contratto, realizzato da Eisner nel 1978, il fumetto americano è «diventato adulto», affrancandosi dal comic book, mettendo al centro l’universo popolare e misero delle metropoli in cui si piange, si prega, si spera, in cui «ogni uomo sembra avere in un momento il proprio destino in mano, per poi perderlo nella vignetta successiva» (Andrea Plazzi).
In tal senso, la letteratura disegnata di Eisner possiede e trasmette una potente forza emotiva: perché i suoi personaggi, quasi tutti ebrei, che vivono nel Bronx della Grande Depressione, sono schiacciati da un destino avverso, lottano ogni giorno con i debiti e le ingiustizie, sono figure animate, vive, gravide di umanità, tenerezza, disperazione, che devono fare i conti con la quotidiana sopravvivenza e con complicati rapporti familiari.
Eppure il modo con cui l’autore osserva i suoi personaggi, un po’ come Kubrick in Barry Lyndon, è onnisciente, affettivo ma distaccato, come un «dio terreno che conosce la materia fragile dei destini umani», il che contribuisce nel lettore a creare un senso di partecipazione sentimentale e non di identificazione.
Ma senza dubbio la forza rivoluzionaria di Eisner sta nello stile.
Una voce fuori campo, che si fonde e s’intride con il disegno, con le nuvole grigie, con gli alberi scheletrici, col fumo delle ciminiere, accompagna i disegni, l’evoluzione delle storie, con un tono pacato e austero, lucido e allo stesso tempo commosso, raccontando e insieme commentando. Ma non finisce qui. Le vignette non sono strutturate, come da tradizione, in modo lineare, consequenziale, ma in modo sparpagliato, dinamico, sovrapposto sulla pagina, offrendo così il disegno di un mondo frantumato e multiforme, disordinato e fibrillante, magmatico e doloroso, e ricostruendo i meccanismi del funzionamento della mente.
È un segnale di scrittura del tutto dirompente, senza precedenti, che si muove in una duplice direzione: di estremo realismo e di introspettiva intimità, perché, come ha osservato uno dei più grandi critici del fumetto statunitense, Denny O’Neil: «Eisner, con la fusione di testo e immagine, imita le funzioni della memoria, nel modo migliore in cui è possibile imitarle sulla carta»
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(Andrea Pagani)