Messaggi inascoltati sono venuti da convegni, sit-in e report negli anni passati da parte di esponenti del mondo accademico ed ambientalista, che indicavano “le siccità” come un fenomeno in frequente crescita, tutte parole al vento sì da non considerare come “urgente” riammodernare una rete idrica colabrodo che ancor oggi dissipa (come allora) la metà dell’acqua che ci scorre dentro; né tanto più cambiare quel vecchio paradigma tutto made in Italy che a riguardo gli stress idrici (come per quasi tutte le criticità nazionali) si debba intervenire sempre e solo allo scoccare dello stato di “emergenza”, e non invece lavorando in prevenzione per una migliore salvaguardia delle comunità e dei territori.

Messaggi e meccanismi non letti con la dovuta attenzione, e che ci porteranno ad un futuro di sete, sono stati anche quelli che mettevano in guardia su quanto gli aumenti combinati di anidride carbonica (CO2) e temperature (estive o invernali) potessero diventare le principali “leve” a favorire le siccità anche alle nostre latitudini con una pluralità e una ricorrenza tali da non poterle più considerare come un’anomalia, sia nella durata che nella gravità; come già successo perciò, l’urgenza prima o poi impererà quando invece servirà tranquillità di scelta, in modo da trasformare l’emergenza in opportunità.

Qualcosa comunque si è iniziato (finalmente) a mettere in pratica, ad esempio producendo derrate grazie a pratiche agricole sostenibili, come quelle di “Vertical Farming” che come dice il termine riducono il suolo non impoverendolo di minerali e permettendo inoltre di limitare il consumo d’acqua (fino al 90%), di manodopera e di pesticidi, un settore questo del Vertical Farming che è cresciuto da 1,2 mld di dollari nel 2015 ai 9,9 mld di dollari che raggiungerà entro il 2025. L’unione ha comunque fatto la forza anche sui terreni a pieno campo di imprenditori e cooperative malgrado la penuria delle precipitazioni, le produzioni di frutta e verdura, nettarine e kiwi, uva e mele sempre più minacciate dalle siccità accentuatesi negli ultimi anni, hanno trovato nei Consorzi irrigui preziosi alleati e una sponda d’aiuto, supportati dall’attività di quelli di Bonifica da sempre attenti a tutti i territori.

La speranza di sanare la siccità invernare con una primavera piovosa non sempre paga, soprattutto se (come successo) l’anno prima le piogge sono cadute per quasi la metà della media stagionale, un guaio soprattutto per le zone pedecollinari dove costa troppo portare l’acqua da canali, fiumi e torrenti di pianura agli invasi irrigui collinari, è proprio qui che i Consorzi irrigui devono ben lavorare in quanto le reti e le condotte devono ottimizzare al massimo l’utilizzo di acqua e non sprecarne una goccia.

Da qui agli investimenti mirati a favore delle infrastrutture urbane e in agricoltura il passo è breve, uno sforzo (anche finanziario) a contrastare le siccità a fronte di un clima che muta ma che cambia anche le nostre scelte di tutti i giorni. A cominciare dalla spesa quotidiana che oggi come nell’immediato futuro strizzerà sempre più “l’occhiolino” alle derrate di quelle realtà aziendali che risparmiano acqua per l’irrigazione, che coltivano quattro piante per metro quadrato anziché solo una (come nelle coltivazioni tradizionali), e che ottimizzano la crescita delle piante con la coltivazione su più cicli annuali rispetto al singolo ciclo a terra. Una utenza di (nuovi) consumatori sempre più attenti a privilegiare i punti vendita più vicini ai luoghi di produzione, dove ridottissimi sono i tempi che di solito intercorrono fra raccolta e vendita al minuto, dettaglio questo che all’estero fa tanto la differenza e che comincia a piacere un po’ anche da noi.

La carenza di acqua è fattore critico e limitante della vita, lo stress idrico da meteo estremo è ormai anche alle nostre latitudini una pericolosa ricorrenza temporale ma le misure urgenti e significative per ridurre il degrado da desertificazione, compreso il ripristino dei terreni colpiti da siccità, costano tanti quattrini a fronte di risultati che nell’immediatezza non sono rilevanti; a detta di qualcuno sono pochi i fondi messi a disposizione dal “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr) per il ripristino degli ecosistemi di acqua dolce, di foreste o anche soltanto di habitat naturali a protezione di flora e fauna che hanno rischiato l’estinzione o anche soltanto sono state gravemente minacciate dall’impatto di siccità da global change, si parla di risorse per poco più di 1 miliardo di euro/anno fino al 2026 ma (forse) ne servirebbero almeno le quattro volte di più per “coprire” le tante criticità del nostro sistema idrico di monti, valli e pianure.

Le alte temperature assieme alla scarsità di eventi meteorici (pioggia in pianura e neve in montagna) lasciano presagire, se il trend continuerà, una primavera-estate al limite dello stress idrico dove l’indisponibilità di acqua creerà guai all’uso urbano e a quello agricolo-industriale assieme ai distretti energetici, compresi gli approvvigionamenti legati al turismo che probabilmente saranno destinati al regime razionato. Attualmente con la stragrande maggioranza dei nostri fiumi, Po in testa, a registrare portate del 30% al di sotto la media del periodo di fine inverno, la siccità da global change può essere dietro l’angolo, perciò mai come ora sarebbe fondamentale che le tecnologie, le conoscenze e soprattutto la politica “battessero” un colpo e intervenissero a garantire la domanda d’acqua potabile ai cittadini quanto quella per usi diversi.

(Giuseppe Vassura)