Il ritrovarmi invischiato nell’adolescenza, seppur per interposta persona, è stato come se qualcuno mi avesse spinto a tradimento giù da uno scoglio di cinquanta metri. Precipito, e mentre mi avvicino alla superficie del mare, metro dopo metro, mi rendo conto di non saper nuotare, e che nessuno mi ha fornito i braccioli. Il tuffo, una dolorosa spanciata, mi ricorda che sono già stato qui, ci sono stato tanto tempo fa, a starnazzare in questo specchio d’acqua agitato da tumultuose tempeste e rari momenti di bonaccia. Ricordo anche di essere tornato a riva cambiato, come tutti, d’altronde. Eppure, ora mi rendo conto di non sapere nulla, che quella faticosa ed entusiasmante nuotata tra le onde è stata una lezione (lezione?) che non posso girare ad altri come fosse un file di power point. Non ci sono braccioli da prestare o scialuppe da calare in mare. Perché quell’età, come tutte le altre, ma forse un po’ più delle altre, è tagliata e cucita su misura, come un abito di sartoria. Ogni adolescenza coincide con la guerra, cantano i Tre allegri ragazzi morti. Non so se sia una guerra, ma se lo è, ognuno la combatte a suo modo, con le armi che ha, contro i nemici che trova di fronte. Il più delle volte da solo.

L’idea di accogliere nel mio paese Fabio Cantelli Anibaldi, ex ospite di San Patrignano, autore di “Sanpa, madre amorosa e crudele”, e protagonista dell’omonima docuserie su Netflix, non è stata tanto dettata dalla volontà di portare la testimonianza di chi ha vissuto l’esperienza della tossicodipendenza (o tossicomania, come preferisce chiamarla lui), ma soprattutto dal desiderio di condividere con altri l’analisi che Cantelli fa della proprio adolescenza, il suo vissuto e il suo passaggio atipico e radicale in quello snodo cruciale dell’esistenza. Avevo già avuto la fortuna di ascoltarlo in un pomeriggio estivo ai piedi delle Pale di San Martino e ho pensato che la sua fosse una testimonianza importante, da non disperdere in banali presentazioni di libri alle quali spesso, ahimè, partecipano solamente teste canute e ormai stanche.

Fabio afferma che l’adolescenza è la nostra seconda nascita. Io aggiungo, come genitore, che l’adolescenza è staccare la mano e lasciare andare. E poi sperare, o pregare, per chi crede.

Euphoria racconta gli adolescenti. Pur nei limiti del mezzo televisivo, pur nell’esasperazione dello stile hollywoodiano e della vita nelle metropoli d’oltreoceano, pur considerando che non sono un intenditore di cinema, la ritengo, per quel che mi riguarda, è un capolavoro sotto tutti i punti di vista: sceneggiatura, recitazione, musiche… Euphoria è grande al pari di quell’After life divorata in un paio di sere su suggerimento del mio spacciatore di serie, il buon Alessandro Boriani. Un qualcosa di differente, After life, che si colloca sulla sponda opposta del fiume rispetto a Euphoria, per come avanza in punta di piedi e sottovoce, trattando un altro tema pregnante, quello dell’elaborazione del lutto. Consiglio proprio di vedere una dopo l’altra, per saggiare i poli opposti.

Dimenticavo, hanno annunciato la terza stagione di Euphoria. Non la vedrò, per me Euphoria è terminata lunedì, con Rue che esce da scuola e se ne va. Voglio conservare il gusto buono che mi è rimasto in bocca.

Se volete vedere e ascoltare l’incontro con Fabio Cantelli Anibaldi qui sotto trovate il video integrale. Il passaggio sull’adolescenza comincia, più o meno, al minuto 48.

Corrado Peli

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