Qual è il vero “sesso forte”? Senza scomodare Caterina Sforza, la quale a ben vedere fu imolese solo di adozione, nelle nostre terre le donne hanno molte volte dimostrato carattere e combattività, anche più degli uomini.
Le donne di Imola si sono sempre distinte per il loro coraggio nelle manifestazioni per la pace e nelle proteste sociali e la storia ci insegna che le donne Romagnole non si sono mai piegate a ricoprire un ruolo marginale e subordinato nelle battaglie politiche e sociali che hanno interessato le nostre terre. Le cronache del secolo passato sono costellate di esempi di donne ordinarie che hanno fatto cose straordinarie per la comunità.
Ricordi interessanti di donne durante la guerra e la Resistenza furono raccolti nel bellissimo libro di Livia Morini “Per essere libere”, tuttavia vi sono altri episodi poco noti, ma egualmente significativi, accaduti a quel tempo. Elenchi dettagliati e notizie delle staffette partigiane della “bassa imolese” e del territorio più in generale si trova nel libro di memorie di Graziano “Mirco” Zappi, in quello di Nadia Bassi e Marco Orazi “Libertà, traguardo rosa”, in quello di Lisa Laffi “Cento passi di donne”.
Il 25 luglio 1943 una colonna di donne provenienti da Mordano e Chiavica in bicicletta si era recata sotto la Rocca di Imola a chiedere la liberazione dei prigionieri politici. L’otto settembre di quello stesso anno una folla di donne assaltò l’Ammasso del Consorzio Agrario e prelevò il grano, che in parte venne distribuito ed in parte occultato per i partigiani. Un anno dopo, il 14 settembre 1944, moltissime donne parteciparono alla manifestazione di popolo con la quale i partigiani occuparono Sesto imolese.
Sono abbastanza note, inoltre, le vicende dell’eccidio in piazza ad Imola del 29 aprile 1944 quando durante una manifestazione organizzata dai Gruppi di Difesa della Donna per reclamare la distribuzione di generi alimentari i militi fascisti della GNR spararono e uccisero Maria Zanotti e Livia Venturini, così come viene ricordato il grande coraggio di tante staffette partigiane.
La perdita di una figura importante e di riferimento quale Livia Venturini fu molto sentita da parte delle donne di tutto il circondario e il suo funerale a Bubano raccolse egregie partecipazioni da donne provenienti da Imola, Sesto Imolese, Sasso Morelli, Osteriola, oltreché Mordano e Bubano. Meno noto è che lo stesso giorno, come racconta Graziano “Mirco” Zappi in “La rossa primavera”, un gruppo di sessanta donne di Bubano, Mordano e Chiavica manifestarono sotto gli uffici del Comune di Mordano per chiedere la distribuzione di cibo, la fine della guerra, e il ritorno a casa dei militari; inoltre, la stessa folla di donne il 22 marzo 1945 assaltò il Comune per chiedere nuovamente la distribuzione di viveri, e picchiò il Reggente del Fascio ed alcuni impiegati; non contente, sequestrarono tre vitelli e li fecero macellare per la popolazione. Inoltre, durante la guerra vi fu una visita di Mussolini allo stabilimento Cogne e parecchie donne operaie dimostrarono grande coraggio rifiutandosi di partecipare all’evento nascondendosi nei bagni ed in altri luoghi.
Ma anche in tutta la provincia di Bologne vi furono episodi di donne coraggiose in quei tempi bui e pericolosi.
A Bologna il 2 marzo 1944, in piena guerra ed occupazione nazifascista, vi fu al Pontevecchio lo sciopero delle maestranze del Calzaturificio Montanari, formato in gran parte donne: il corteo, in cui fu notata la presenza di partigiani, sfilò lungo la via Emilia bloccando il traffico nei due sensi.
In quel periodo nei comuni della provincia bolognese si svolsero manifestazioni di donne davanti ai municipi a Castelmaggiore, Funo, Malalbergo, Molinella, Baricella, Argelato, alle quali parteciparono gruppi di contadine che chiedevano viveri e la fine della guerra.
Ai primi di aprile di quello stesso anno, 300 donne, molte delle quali braccianti, provenienti da Sesto Imolese, Balia, Bettola e Osteriola, si radunarono a Sesto Imolese dove manifestarono per chiedere generi alimentari razionati, copertoni per bici, la fine della guerra, la cessazione delle deportazioni in Germania. Le cronache raccontano che le donne reagirono contro il maresciallo dei carabinieri che tentava di compiere arresti.
Tra il 15 e il 20 maggio 1944 centinaia di mondine di Medicina scesero in sciopero ottenendo una maggiorazione delle razioni di pane, riso, minestra e marmellata: le agitazioni toccano altri Comuni, consolidando il dissenso verso la Repubblica Sociale fascista di Salò.
Un’altra manifestazione di donne esasperate per la carenza di viveri e la fame vi fu il 30 gennaio 1945 a Castel San Pietro: esse si recarono in Municipio chiedendo al commissario prefettizio che si provvedesse alla distribuzione di zucchero, sale, riso e dei grassi e che si riconoscessero le commissioni popolari di controllo. Fra l’entusiasmo dei presenti, alcune donne incitarono alla lotta contro i rastrellamenti e le rappresaglie dei banditi hitleriani e fascisti: c’erano circa trecento donne e cinquanta uomini. Fatto assai meno noto è che lo stesso giorno a Imola un centinaio di donne protestò davanti a un magazzino di sapone ottenendo una immediata distribuzione.
In quel periodo ci furono manifestazioni di donne anche ad Anzola, San Pietro in Casale, Pieve di cento, Galliera, Bazzano, Crespellano, il 3 febbraio se ne svolsero e Granarolo, Minerbio, Malalbergo, Budrio, S. Giorgio di Piano e Medicina, a Baricella.
Il 26 marzo 1945 a Medicina 400 donne manifestarono presso le autorità comunali e il comando tedesco contro l’ordine di requisizione delle biciclette; tre giorni dopo, il 29, oltre 1000 persone scesero in piazza di nuovo ed il comando tedesco ritirò l’ordine e soddisfece la richiesta di grembiuli da lavoro.
Lo stesso giorno a Bologna una manifestazione silenziosa di donne accompagnò il trasporto funebre dei partigiani Clelio Fiocchi (Lorenzo) e Elio Magli (Totò) della 1ª Brigata “Irma Bandiera”: Olga Maldini Zanasi, staffetta della 7a Gap “Gianni” e madre di uno dei partigiani assassinati dai nazifascisti al Poligono di Tiro, pronunciò un breve discorso, mentre le compagne deponevano fiori rossi sulle bare.
(N.B.: notizie dettagliate sui molti moti di donne durante la guerra si trovano nello scritto di Luigi Arbizzani “Notizie sui contadini della pianura bolognese durante la Resistenza” reperibile anche online).
In quegli anni, le donne giocarono un ruolo fondamentale non solo a Imola e in Italia, ma in tutto il mondo.
Poco nota in Italia è la protesta di Via Rosenstrasse a Berlino del febbraio e marzo del 1943, effettuata dalle mogli non ebree, ma parenti di uomini ebrei: circa 1.800 erano stati arrestati ed alloggiati presso Rosenstrasse 2–4, esonerati dalla immediata deportazione grazie al loro status speciale conseguenza dei matrimoni misti. Per una settimana le manifestanti chiesero la liberazione dei mariti mantenendo una protesta pacifica: apparvero la prima volta alla spicciolata, ma poi il numero crebbe man mano, arrivando anche ad un totale di circa 6.000 donne, che urlavano “Ridateci i nostri mariti. Rivogliamo i nostri mariti”. Alla fine, la protesta portò alla liberazione degli uomini. Non solo: a Dortmund-Höede, alcune settimane dopo una folla di tre o quattrocento donne manifestò con successo contro l’arresto di un soldato, come testimonia un rapporto della polizia nazista.
Dunque, quanto sono state coraggiose tutte quelle donne?
In occasione della ricorrenza dell’otto marzo, riteniamo che i succitati eventi possano bene testimoniare come e quanto le donne possano essere sovente come e ben più audaci e coraggiose degli uomini.
(Marco Pelliconi)