In una delle scene più famose del film Caccia a Ottobre Rosso (1990), Ronald Jones addetto sonar del sottomarino americano classe Los Angeles USS Dallas, lancia l’allarme “Ivan il matto”. Si trattava del modo con cui i sommergibilisti della US Navy definivano un’improvvisa e aggressiva manovra messa in atto dai sottomarini sovietici. Una improvvisa inversione di rotta a 180° era orientata a capire se al di là di quello che dicevano i loro sistemi di rilevamento, gli scafi sovietici fossero seguiti da altrettanto silenziosi mezzi americani.
Durante alcune fasi della guerra fredda la mentalità sovietica era aggressiva e comportava atteggiamenti al limite dell’agire razionale. Quella di Putin è quindi “naturale” espressione di quella sovietica e comporta un’alta tolleranza al rischio.
Ma quindi Putin è potenzialmente “matto”? Sin qui il presidente russo si è dimostrato un abile e spregiudicato giocatore razionale. Ha affrontato negli anni le diverse crisi militari in cui ha coinvolto la Russia, le due guerre cecene, la guerra in Georgia, quella in Siria e l’annessione della Crimea, calcolando bene il rapporto costi/benefici.
In tutte queste occasioni Putin ha ritenuto che il valore della posta in gioco fosse altamente superiore al rischio, sia militare che legato alle possibili sanzioni.
Ha quindi, di volta in volta, alzato la posta, agendo allo stesso tempo da attore razionale in un classico gioco non cooperativo a somma zero. Nella “Teoria dei giochi”, due attori in contrapposizione cercano di portare a casa il massimo profitto, l’uno a scapito dell’altro, la somma finale è quindi zero poiché ciò che un attore perde, viene guadagnato dall’altro. Tale teoria fu poi ulteriormente sviluppata dal matematico John Nash (premio Nobel per l’economia nel 1994 a cui è ispirato il bellissimo film A beautiful mind, con Russell Crowe) che dimostrò che anche tra attori non cooperativi può scaturire una stabilità, al termine di un confronto, il famoso Equilibrio di Nash.
La domanda che possiamo farci è: il “gioco” che il Presidente russo ha iniziato nella notte del 24 febbraio scorso, quando ha dato il via all’aggressione all’Ucraina, ha le stesse regole del gioco ceceno, di quello georgiano o di quello della Crimea?
Nel marzo del 2014 nella crisi della Crimea la minaccia percepita dal giocatore Putin (le blande sanzioni dell’epoca), era troppo ridotta rispetto all’obiettivo prefissato (riprendere il controllo della penisola a maggioranza russa che affaccia sul Mar Nero). Usa e Ue si mostrarono troppo deboli e il gioco non cooperativo fu a somma zero, un guadagno per Putin e una perdita per l’Ucraina e per l’Occidente.
In queste ore Putin, forse vittima del pregiudizio della conferma di ciò che è già accaduto, ha avviato una nuova azzardata operazione, ma questa volta il gioco a somma zero si è trasformato in un “gioco del pollo”, ovvero un gioco in cui l’invio di armi agli ucraini e le sanzioni durissime (prima fra tutte l’esclusione dal sistema Swift), possa avere come esito finale uno scenario in cui sia la Russia che l’Ucraina e anche l’Occidente potrebbero uscire danneggiati, ovvero un gioco a somma negativa per tutti i giocatori.
Esempio classico del “gioco del pollo” è la famosa scena di Gioventù bruciata (film del 1955 con James Dean), in cui due ragazzi fanno una corsa automobilistica lanciando simultaneamente le auto verso un dirupo. Il primo che frena fa la figura del “pollo” (o del pavido), se nessuno dei due frena entrambi finiscono nel burrone.
Il “gioco del pollo” in geopolitica, se giocato da attori razionali, finisce con un negoziato ed un accordo, anche perché l’alternativa è la follia, non solo degli statisti, ma di tutto il mondo. E’ quello che tutti speriamo, che qualcuno posa riprendere il filo della matassa.
Ieri il premier israeliano Naftali Bennet, domani che anche altri prendano coscienza che se tutti corriamo verso il burrone, saranno in molti a farsi male, non solo i polli!
(Tiziano Conti)