Bologna. La fuga dal lavoro (anche quando è un posto “sicuro”) smette di essere una curiosità sociologica quando ci si confronta con chi, concretamente ha scelto a abbandonare un buon posto per cercare altro. E cosa è questo “altro”?
Ce ne ha parlato Paolo B, un quarantenne, tecnico all’interno di una importante azienda romagnola, che da qualche tempo ha spedito alla ditta la sua lettera di dimissioni. “E non sono certamente solo in questa avventura, ci sono decine di miei ex colleghi che hanno fatto scelte simili e sono soddisfatti.”
Insomma Paolo B è la persona giusta per cercare di capire le origini di questo fenomeno che sta coinvolgendo il mondo occidentale.
Perché questa scelta?
“Ovviamente parlo a titolo personale e dico subito che la mia uscita dall’azienda è avvenuta senza tensioni particolari, anzi aggiungo che con i miei ex dirigenti le relazioni sono decisamente cordiali.”
Allora non ci sono tensioni e quindi la domanda è inevitabile cosa ti ha spinto a fare scelte drastiche?
“Partiamo da un elemento che accomuna tutti noi che ce ne siamo andati: il tempo. Abbiamo deciso che adesso il tempo per noi non ha prezzo. Parlo di persone che hanno medie responsabilità in azienda, a stretto contatto con le maestranze che operano in produzione. E qui qualcosa è successo negli ultimi due tre anni perché mettendo insieme pensionamenti, contratti a termine non rinnovati e altri eventi siamo, come forza lavoro fortemente sottodimensionati e le tensioni si scaricano sulla fascia intermedia.
I giovani italiani vogliono lavori di ufficio e i meccanici e gli elettricisti (per fare degli esempi) sono sempre più spesso stranieri, comunitari e non, con una cultura del lavoro ben diversa da quella a cui eravamo abituati. Tutto questo come ho detto finisce sulle spalle dei quadri intermedi e le conseguenze sono presto dette: turni di lavoro assurdi, disponibilità illimitata, non sai più quando entri in azienda e quando riesci ad uscire, assistiamo al trionfo degli straordinari e le ferie diventano un miraggio specie quando scattano vincoli di produzione stagionali. Insomma, non sai mai quando avrai un po’ di tempo per la tua vita.
E il dato assurdo è che la direzione presenta tutto questo come doveroso, perché dobbiamo sempre essere a disposizione del cliente se non vogliamo che lui vada dalla concorrenza. Molti di quelli che sono in fuga hanno superato i 50 anni e non sono in grado di reggere questi ritmi. E aggiungo subito non c’è aumento di stipendio che possa valere il mio tempo.”
Oltre a queste riflessioni esistono altri motivi che spingono alle dimissioni?
“Certo e ne cito due molto importanti. Parto dal mancato riconoscimento delle competenze acquisite e di tutte le tagliole o trappole che permettono ad un tecnico di veder crescere la propria capacità.
E per finire un elemento che invita alla fuga è la piaga del bullismo in azienda. E’ roba da brividi. Esistono persone che, per vari motivi ricoprono un ruolo che credono essenziale e quindi esercitano un controllo sulle persone che devono lavorare con loro di tipo tirannico, con umiliazioni a tutto campo.”
(m.z.)