La rubrica letteraria, “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, nel mese di marzo ci guida alla scoperta della letteratura disegnata, ovvero la graphic novel, romanzi a fumetti. Un’interessante forma narrativa, a metà strada tra il genere letterario e il meccanismo del fumetto. Buon divertimento!
Quando una pagina letteraria e un disegno possiedono una penetrante forza evocativa, capace di imprimere nelle mente del lettore una potente suggestione, riesce abbastanza naturale per un regista tradurre sullo schermo quella storia, soprattutto se l’autore del fumetto diventa anche l’autore del film.
È il caso dell’incantevole graphic novel di Igort, ormai una celebrità del genere, conosciuto a livello internazionale, 5 è il numero perfetto, che nel 2019 si è tradotta in pellicola cinematografica con interpreti del calibro di Toni Servillo, Valeria Golino, Carlo Buccirosso, e per la regia di Igor Tuveri, in arte Igort.
Si tratta, anzitutto, di un magnifico affresco di una Napoli degli anni Settanta, con vaghe allusioni all’America dell’età del proibizionismo.
Viene raccontata la storia di Peppino Lo Cicero, ex sicario della camorra, un guappo in pensione che vive la sua vita in ritiro, e si occupa di pesca e del figlio Nino, guappo anche lui.
La svolta narrativa esplode quando Peppino è costretto a tornare in campo dopo l’omicidio di suo figlio, il che innesca una serie di azioni violente, ma anche la scintilla per Peppino per cominciare una nuova vita.
La magia del fumetto sta in una duplice forza, in una combinazione perfetta fra struttura e immagine.
Da un lato, il ritmo della vicenda acquisisce un’accelerazione propulsiva, passando dal passo lento e misurato dell’inizio, nella calda intimità delle consuetudini domestiche tra padre e figlio, in un contesto di codici d’onore ormai tramontati che tuttavia odorano di sacro e esemplare, fino a quando la dinamica dei fatti si fa criminale, e via via più concitata, elettrizzante, irresistibile, nella misura in cui l’etica delle generazioni passate viene spazzata via dal cinismo del presente.
Dall’altro lato, abbiamo l’incisività plastica e visionaria delle immagini: un segno grafico speciale, vagamente metafisico e onirico, che rimanda ad una sorta di straniante allucinazione kafkiana, un tratto che, osserva efficacemente Valerio Stivé, si caratterizza per «pennellate dense e materiche (ricordando il segno di Mazzucchelli e di Muñoz), […] con sfondi netti, giustapposti sulle figure umane come una scenografia teatrale, con l’azzurro della bicromia che mantiene costantemente le luci basse e chiede al lettore di tenere sempre lo sguardo attento».
Scopriamo così, dopo le prime tavole di questo noir magnetico, che il plot criminale è solo un pretesto, che fa da spalla al vero motivo trainante: la crisi esistenziale di Peppino, la vulnerabilità di un uomo che vede crollare i valori della propria epoca.
Ci accorgiamo di essere di fronte ad un romanzo nostalgico e sentimentale, non disperato, come una carezza che s’adagia sullo sguardo del protagonista che sa anche essere ironico, in grado di suggellare così la sua morale gravida di malinconia: «La vita è terribile. E il brutto è che tiene pure il senso dell’umorismo».
Il progetto dello “Scaffale” >>>>
Vai all’archivio dello “Scaffale” >>>>
(Andrea Pagani)