La rubrica letteraria, “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, nel mese di marzo ci guida alla scoperta della letteratura disegnata, ovvero la graphic novel, romanzi a fumetti. Un’interessante forma narrativa, a metà strada tra il genere letterario e il meccanismo del fumetto. Buon divertimento!
Di fronte ad un fumetto capita, a volte, di correre un rischio: cioè, di farsi incantare dal disegno, dal tratto seducente delle immagini e dalla forza plastica dei colori, e di trascurare invece la storia. È il rischio (se si può chiamare così) in cui il lettore può incorrere nella meravigliosa graphic novel di Jirô Taniguchi La montagna magica, una storia che, con delicatezza e candore, entra in profondità del cuore dell’uomo, fino a strapparci un moto di commozione.
Il tema centrale della vicenda è l’infanzia.
Siamo nell’estate del 1967. Cittadina giapponese di Tottori, ai piedi di una montagna, sulla cui cima svetta la torre di un castello mezzo diroccato, visibile da qualsiasi punto della città.
Per il piccolo Kenichi, 11 anni, si prospetta un’estate diversa dal consueto. La mamma infatti deve partire per l’ospedale, a causa di un’oscura malattia. Si assenterà per diversi giorni e il giovane protagonista dovrà trascorrere quell’estate senza i genitori, in compagnia dei nonni e della sorella più piccola.
Kenichi è solo un ragazzino ma avverte confusamente il mistero e la gravità della malattia della mamma che nessuno osa nominare. È in quell’età che fa da confine tra l’infanzia e l’adolescenza: dentro di sé cerca ancora i giochi e le sfide infantili, ma in fondo percepisce un senso di angoscia verso un futuro che lo spaventa.
A questo punto prende vita la dimensione fiabesca e magica della storia, che irretisce il lettore per il ritmo della narrazione, la costruzione accelerata e fluida delle vignette, e l’icastica forza evocativa dei disegni.
Un giorno Kenichi entra nel museo del castello diroccato della montagna, animato da spiriti e creature fantastiche, e incontra una salamandra. L’animale entra in contatto telepatico col ragazzino e gli prega di aiutarla, gli chiede solidarietà, per sé e per le altre creature della natura, in cambio della realizzazione di un suo desiderio.
Cosa desidera la salamandra? E qual è il desiderio di Kenichi?
Su queste due domande si matura e si snoda la dinamica dell’azione, mai affrettata e imprecisa, ma dosata in modo efficace, fino ad un epilogo carico di pathos emotivo, gravido d’una struggente, seppur delicata, malinconia, accompagnata da disegni nitidi ed esatti, di rara eleganza.
Il maestro giapponese Taniguchi, nato proprio a Tottori nel 1947, riesce così mettere in campo temi di drammatica attualità (come l’avidità e il cinismo dell’uomo che minaccia la natura), ma senza denunce rumorose, bensì con delicatezza e raffinato simbolismo, declinando la tragedia nei toni della nostalgia e nel mito dell’infanzia: non a caso la salamandra, per esorcizzare il male si rivolge ad un bambino, il piccolo principe sempre presente nel cuore dell’adulto, che solo con la genuinità dello sguardo sublima il terrore nella vastità della speranza.
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(Andrea Pagani)