Capitolo 13

L’arrivo precoce della primavera, come stava succedendo oramai da molti anni, aveva fatto sbocciare con largo anticipo l’antesi delle piante, anche se c’era il rischio che improvvise gelate avrebbero potuto compromettere la fioritura e la conseguente trasformazione dei fiori in frutti; durante le ore più calde la temperatura si alzava, quasi annunciando i giorni estivi ancora lontani.

Vladimiro era in attesa dell’uscita di scuola di Greta e aveva, per fortuna, trovato riparo all’ombra ancora rada di uno degli ippocastani che fiancheggiavano la strada. Le dita tamburellavano nervose sul volante. Una leggerissima brezza attraversava l’abitacolo penetrando dai due finestrini abbassati.

Erano trascorsi quattro mesi dalla chiusura dell’Astoria ma tutti i tentativi di trovare un nuovo lavoro, messi in atto da Vladimiro attraverso conoscenze, uffici pubblici, agenzie private di collocamento, decine di curriculum inviate in risposta agli annunci trovati sui siti on-line e sui giornali, erano rimasti senza risposta.

Per fortuna il sussidio di disoccupazione rappresentava una garanzia e lui aveva da subito tagliato tutte le spese superflue; ma prima o poi l’assegno, sarebbe cessato. E Vladimiro sentiva in sé ancora la voglia di lavorare, non si sentiva stanco, tantomeno finito. Purtroppo, la situazione generale, di cui aveva solo sentito parlare in modo marginale, era divenuta tale che dopo avere oltrepassato i cinquant’anni, essere assunto era un’eventualità quasi impossibile, almeno di non essere disposti a trasferirsi. Questo pensiero, un po’ alla volta, come una goccia che scava la pietra, si era fatta strada e il tarlo dell’angoscia scavava sempre più in profondità.

I ragazzi uscirono veloci dalla scuola, sorvegliati come fossero un gregge, dalle bidelle, loro cani pastore. Vladimiro vide Greta. Le difficoltà economiche, la perdita del lavoro, avevano avvicinato padre e figlia. Lo psicologo, dopo un mese e mezzo di incontri, aveva deciso di interrompere le sedute con Greta, ritenendo i problemi della ragazza non così gravi o complicati; e lei, dopo l’iniziale sfiducia, si era resa conto che gli incontri con Guido, come ormai lo chiamava quando ne parlava con Samantha, avevano già avuto un effetto positivo.

I rapporti con i suoi genitori erano divenuti più distesi, meno conflittuali. Aveva abbandonato la relazione tossica con Enry e deciso che desiderava qualcosa di diverso da sé e dagli amici, anche se rimaneva in stand-by con l’amore.

Aveva dismesso quel broncio perenne indossato da troppi mesi, così come aveva finito di crogiolarsi nel proprio malessere, senza peraltro avere mai messo in atto nessuna possibile iniziativa per uscirne.

Mentre si avvicinava alla Zitella, osservò suo padre che la guardava. Il suo triste sorriso, divenuto sempre più cupo di settimana in settimana, malgrado lui tentasse in tutti i modi di nascondere il disagio, confermava quello che Greta pensava da tempo: doveva mettere da parte i suoi problemi personali per occuparsi del padre.

Per fortuna, gli studi, su cui si era ulteriormente impegnata e i conseguenti buoni risultati, avevano contribuita a fortificarla.
«Ciao padre», disse sedutasi e baciandolo.

Ora anche la Zitella gli pareva un’auto di cui andare fiera e lei non si vergognava più della vecchia automobile. Appoggiò un gomito sul finestrino abbassato, si mise gli occhiali neri a goccia sottratti al padre e si mise a osservare i ragazzi sfilargli accanto senza più accartocciarsi per non farsi vedere. Un senso sconosciuto di spavalderia mescolata alla nuova sensazione di essere pure lei, non solo una bella ragazza, ma perfino una persona “in gamba”, come le diceva sempre Vintage, l’aveva cambiata.

Negli ultimi mesi, una strana vitalità l’aveva invasa, come la forza dell’acqua di un torrente, tornata copiosa nell’alveo, che muove la ruota ad acqua di un mulino con più energia. Aveva trasferito quella forza anche nella sua passione per il disegno, che ora assorbiva molte ore del suo tempo libero e rendeva i progressi chiari e visibili. Si sentiva colma di un ardore così profondo e sconosciuto e si chiedeva, inutilmente, quale nome dargli.

Vladimiro, seduto accanto a lei alla guida della 600, cercava di mascherare lo sconforto che lo spingeva, ogni giorno sempre più, verso l’abisso; ma non poteva e non voleva abbandonare il ring come un pugile suonato e, senza rendersene conto, percepì il flusso di energia positivo emanato da Greta, avvolgerlo e rincuorarlo.

Il mattino dopo avere passato l’ennesima notte insonne, preso il caffè, accompagnato Greta a scuola, ritornò a casa, si sedette a tavola, il taccuino del signor Vittorio aperto sulla prima pagine e iniziò a trascrivere tutti i numeri da contattare e cominciò a maturare l’idea di essere disposto a trasferirsi lontano da Donegallo.

Greta avrebbe potuto trasferirsi da Vanessa, anche se sapeva bene dell’antipatia che provava per Osvaldo; ma ora non c’erano molte alternative.

Prese coraggio e compose il primo nome. Uno dopo l’altro seduto davanti al telefono appeso al muro, scorreva l’elenco. A ogni risposta negativa, numero ormai inesistente o che non corrispondeva più all’utenza segnata sull’agenda, tracciava una spessa riga nera.

Le ore trascorsero senza che lui se ne rendesse conto ed era ormai giunta l’ora di andare a prendere Greta all’istituto. Non mancavano molti numeri.

Prese il cellulare e scrisse un Sms alla figlia: “Tardo. Riesci ad arrangiarti per un’oretta?”
Riprese a fare girare la rotella trasparente del telefono ma continuò a collezionare risposte sfavorevoli: “no grazie”, “mi dispiace, non abbiamo bisogno”, “non è un buon momento, buona fortuna”, “questa non è più la Mondial Gas”.
Finché arrivò agli ultimi due. Si passò una mano sul viso, affranto, con l’intenzione di mollare. Compose un nuovo numero.

«Agenzia Teatrale Emiliana Ghislini. Come posso esserle utile?» disse una voce cortese di ragazza.
«Buongiorno. Cercavo il signor Testa.»
«Un attimo. Guardo se è ancora in ufficio. Chi devo dire?»
«Vittorio Cavicchi, del cinema Astoria di Donegallo», bleffò senza sapere bene neanche il perché.
«Rimanga in linea».
L’attimo dopo, una voce squillante uscì dalla cornetta.
«Vittorio! Dio bono. E’ una vita che non ci sentiamo. Come va?»
«Sono il suo dipendente signor Testa… Vladimiro… il signor Vittorio è deceduto…».
Dall’altro capo del filo non giunse risposta.
«Il cinema Astoria verrà demolito… e io… sono rimasto senza lavoro…» disse chiudendo gli occhi per la stupida vergogna che sentiva in sé, come se stesse chiedendo l’elemosina.
«Mi dispiace. Capisco. Non è un bel momento per trovare lavoro. Lei non è più un ragazzo, giusto?»
«Sì».
«E io non sono un’agenzia di collocamento. Oltre a me c’è solo la segretaria».
Valdimiro si accasciò sulla sedia, pronto al colpo finale di pistola.

«Però, visto la grande amicizia che avevo nei confronti del signor Vittorio, le prometto che farò una piccola indagine. Sa, la rete dei miei contatti è molto vasta».
«La ringrazio, signor Testa, anche solo per il tempo che dovrà perdere».
«Si figuri. Nei prossimi giorni le farò sapere. Buona fortuna».
«Grazie. Buon lavoro».
Vladimiro, appoggiò la cornetta. “Non mi chiamerà.”
Indossò la giacca, prese le chiavi della Zitella e di casa, uscì, più mogio che mai.

I capitoli precedenti >>>>

Continua… la prossima settimana