Io ho sempre pensato che la liberta di stampa fosse fondamentale per una partecipazione attiva e consapevole dei cittadini alla vita democratica di una comunità e che i giornalisti non dovessero mai dimenticare che hanno il diritto-dovere di cercare la verità e criticare chi esercita il potere.
Come ha scritto Furio Colombo, docente di giornalismo alla Columbia University, è necessario “criticare, discutere, contestare, approfondire, seminare dubbi, controllare le fonti, non accontentarsi delle versioni facili e popolari, non ripiegare sui generi di scrittura alla moda, rifiutare e smontare le notizie su ordinazione”
Recentemente il presidente Mattarella richiamando l’ art. 21 della Costituzione (“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure )” ha ribadito che «L’incondizionata libertà di stampa è un elemento portante e fondamentale della democrazia e non può essere oggetto di insidie volte a fiaccarne la piena autonomia e a ridurre il ruolo del giornalismo»
In questo senso credo sia ancora più urgente e necessario oggi occuparsi del caso Assange , informando correttamente i cittadini su quanto sta avvenendo senza censure o colpevoli omissioni.
Julian Assange è un grandissimo giornalista d’inchiesta finito in galera da più di mille giorni per avere rivelato i crimini contro l’umanità e i retroscena delle guerre dell’Occidente e, in particolare, degli Stati Uniti e del Regno Unito.
Dopo che l’Alta corte del Regno Unito aveva ribaltato la sentenza di primo grado dando ragione al governo americano che chiedeva l’estradizione, è arrivata la decisione della Westminster Magistrates Court di Londra che ha emesso l’ordine formale. La sentenza dei giudici britannici deve ora essere approvata dalla ministra dell’Interno Priti Patel entro il 18 maggio. Sottolineo il fatto che il Dipartimento della Giustizia statunitense considera la diffusione di quelle verità meritevole di fino a 175 anni di carcere ai termini dell’Espionage Act del 1917.
Amnesty International ha fatto a proposito la seguente dichiarazione: “L’estradizione di Assange avrebbe conseguenze devastanti per la libertà di stampa e per l’opinione pubblica, che ha il diritto di sapere cosa fanno i governi in suo nome. Diffondere notizie di pubblico interesse è una pietra angolare della libertà di stampa. Estradare Assange ed esporlo ad accuse di spionaggio per aver pubblicato informazioni riservate rappresenterebbe un pericoloso precedente e costringerebbe i giornalisti di ogni parte del mondo a guardarsi le spalle”
Stella Morris, moglie di Assange, che è intervenuta al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, che si è svolto nei giorni scorsi, per ricordare l’accanimento contro suo marito , ha scritto questa bellissima lettera che potete leggere sotto (Valter Galavotti).
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Gentilissime/i giornaliste e giornalisti,
siamo qui, al vostro “Festival internazionale del giornalismo”, per parlarvi di un vostro collega, rinchiuso in condizioni terribili solo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo, denunciando le malefatte e i segreti inconfessabili di governi e potenti.
Stiamo parlando, naturalmente, di Julian Assange.
In questi drammatici giorni, riempiti di immagini di distruzione, di morte e di disperazione in Ucraina, vi vediamo tutti intenti a denunciare eccidi e crimini di guerra. Proprio ciò che Julian Assange ha dedicato la sua vita a svelare e a castigare.
Con una differenza, però. Voi svelate e castigate i crimini di guerra della Russia, paese che il governo statunitense ha qualificato di “nemico”. Il vostro è dunque un lavoro giornalistico “al servizio della verità”, come amate proclamare – ma di una verità comoda.
Assange, invece, ha svelato e castigato i crimini di guerra della Nato in Afghanistan e in Iraq – quelli di cui il governo statunitense ha detto che non bisognava parlare e sui quali la Corte Penale Internazionale non deve indagare. Il lavoro giornalistico di Julian, dunque, è stato anch’esso “al servizio della verità” – ma di una verità scomoda.
Talmente scomoda che il Dipartimento della Giustizia statunitense considera la diffusione di quelle verità meritevole di fino a 175 anni di carcere ai termini dell’Espionage Act del 1917. Ma dove eravate voi, allora, mentre Julian Assange denunciava i crimini di guerra commessi dall’Occidente in Afghanistan e in Iraq?
Non abbiamo visto la solerzia e l’indignazione che oggi mostrate nei confronti della Russia, quando a commettere le barbarie eravamo noi (i buoni, i democratici). Non abbiamo visto né dirette né maratone per gli orrori che noi e i nostri alleati abbiamo commessi in passato in Afghanistan, in Iraq, in Libia e oggi in Siria, in Palestina, nello Yemen e nel Sahel.
C’è stata, però, una persona che, quasi in solitaria, ha osato denunciare questi orrori, portando alla luce del sole molteplici crimini – comprese torture che fanno venire la nausea solo a sentirle nominare – commessi da noi, i buoni. Questa persona ha addirittura costruito un sito ingegnoso, Wikileaks, per poter raccogliere anonimamente le prove dei crimini commessi. Ed è per questo che quella persona è perseguitata, dagli Stati Uniti, sin dal 2010, quando pubblicò il famoso video “Collateral Murder”, quel macabro video game.
Dal 2012 Assange è privo della sua libertà e dall’11 aprile del 2019, è rinchiuso in attesa di giudizio in un carcere di massima sicurezza, destinato agli autori di delitti efferati, dove subisce le torture denunciate dal relatore ONU Nils Melzer e da oltre 60 medici esperti in torture.
E voi? Voi, da quale parte state?
Dopo aver attinto a piene mani dalle sue rivelazioni, almeno in un primo tempo, non potete pronunciare oggi una sola parola in difesa di Julian Assange? Dopo aver contribuito alla sua demolizione mediatica agli occhi dell’opinione pubblica, non potete spendere oggi una sola parola per riabilitarlo? Ad esempio, informando i vostri lettori – che hanno letto i vostri articoli accusando Assange di stupro – che si era trattata di una montatura ormai archiviata?
Non potete dare rilievo al piano della Cia, rivelato da Yahoo News, di rapire Assange o di ucciderlo? E biasimare poi la sua estradizione in un paese che ha pensato di assassinarlo?
Non potete spiegare ai vostri lettori che non esiste una sola rivelazione di WikiLeaks che sia risultata falsa, non c’è una sola rivelazione che abbia messo a repentaglio la sicurezza di un Paese o quella di un individuo. L’unica sicurezza che è stata messa in discussione è stata quella dell’Occidente di poter continuare a commettere crimini di guerra impunemente.
Non sono questi “fatti di rilievo” di cui sentite l’obbligo di scrivere, per rispetto della vostra professione?
Nei prossimi giorni, la ministra degli interni britannica Priti Patel si troverà sul suo tavolo l’ordine di estradizione di Assange verso gli Stati Uniti, che lo vogliono condannare fino a 175 anni di carcere duro: non potrà più vedere né familiari né gli avvocati, in pratica verrebbe sepolto vivo. Un vostro collega, sepolto vivo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo: non vi turba questo pensiero?
È tempo che prendiate le sue difese e chiediate la sua liberazione. Lo dovete a noi, a tutti i cittadini di oggi e a quelli di domani, perché se Julian Assange verrà estradato o se dovesse morire prima in carcere, sarà la morte anche dell’informazione libera, la morte del nostro #DirittoDiSapere cosa fanno realmente coloro che ci governano.
Un’ultima parola. Se Julian non sarà liberato, neanche voi sarete liberi. Se domani voi venite in possesso di informazioni segrete che rivelano crimini di guerra commessi da un paese della Nato, ricordando Julian vi sentirete costretti a cestinare quelle informazioni e a lasciar impunite le persone implicate. In una parola, vi sentirete costretti ad una vita di complicità.
E’ dunque anche per la vostra libertà che vi chiediamo di intervenire a favore della liberazione di Julian Assange.
(Stella Morris)
Niente paura! Rimarrà per sempre la deformazione della realtà…