Capitolo 14
«Pronto».
«Signor Vladimiro?»
«Sì».
«Sono la segretaria del signor Testa. Ha un indirizzo mail?»
«Una mail?»
«Sì. Una casella di posta elettronica, intendo. Le devo inviare un file da parte del titolare, il signor Testa».
“Merda!” «Sì. Un attimo» e corse nella camera di Greta. Un bigliettino ormai sbiadito era attaccato con lo scotch; l’indirizzo mail di Greta che non era mia riuscito a memorizzare. Lo staccò quasi strappandolo.
«Eccomi» disse in affanno alla cornetta. «Tutto minuscolo; [email protected]».
«Bene. Fatto. Le ho inviato il file. Buona giornata».
«Arrivederci. Grazie».
Vladimiro rimase con la cornetta in mano, incredulo. Il signor Testa aveva mantenuto la promessa. Con il foglietto tra le dita andò ad accendere il computer, aprì Google e entrò nell’account che aveva solo da pochi mesi imparato a usare, visto che né a lui, né al cinema Astoria era mai stato necessario conoscere e usare internet; in questo era simile al signor Vittorio.
Dopo alcuni tentativi riuscì finalmente a scaricare e aprire il file e stamparlo, mentre saliva sempre più l’ansia. Iniziò a leggere. Proveniva dal comune di Portico di Bagnara, a lui completamente sconosciuto. Il sindaco si rivolgeva all’Agenzia Teatrale Ghislini per informarla che era stato emesso un bando comunale per l’assunzione a tempo determinato di un direttore artistico, nonché regista e pratico anche di attrezzatura tecnica, per organizzare la piccola stagione teatrale estiva nel ristrutturato Teatro Comunale.
Al momento, il bando, ormai prossimo alla scadenza, non aveva ricevuto nessun curriculum. Il contratto a termine era di sei mesi con specificato la data d’inizio della prestazione: 1° giugno. Un’apposita commissione comunale avrebbe analizzato i candidati i quali, dopo la lettura e l’approvazione del relativo curriculum, sarebbero stati sottoposti a un successivo colloquio.
Mancavano meno di due mesi. Vladimiro scorreva le parole, incredulo e spaventato allo stesso tempo. “Perché ha pensato a me?” si chiese, stupidamente. “Come potrebbero accettarmi?” In fondo alla missiva si specificava di mandare il curriculum vitae alla segreteria del sindaco.
Lui aveva compilato con l’aiuto di Greta un curriculum che aveva spedito ad aziende, agenzie di collocamento e ovunque avesse intravisto una possibile assunzione ma di certo non poteva mandare quello; doveva essere rifatto da capo.
Chiamò Greta e le disse di rincasare in fretta. Era andata a prendere il primo gelato al pistacchio della stagione con Samantha.
Giunse nell’arco di dieci minuti. «Che succede?» chiese sulla porta aperta, la voce tesa.
«Guarda» disse allungandole il foglio.
Lei si sedette, senza togliersi né la giacca, né la borsa a tracolla e lesse senza alzare lo sguardo. I tratti del viso piano piano si distesero. Fissò il padre. «Ci proviamo» disse solo, mettendo una mano sulla sua.
«Dovrai raccogliere più informazioni possibili riguardo le compagnie teatrali che hanno calcato il palco dell’Astoria» disse Greta durante la cena.
«Purtroppo, non ho più le chiavi. Sui muri c’erano decine di manifesti, anche recenti».
«Non importa. Li troveremo su internet. Lì ormai c’è tutto».
«E poi, cosa scriveremo?»
«Magari troviamo un curriculum di un regista e lo modifichiamo. Nel frattempo, puoi leggere, che so, libri di regia, testi teatrali, storia del teatro. L’organizzazione la conosci, il tecnico lo sai fare. Prenderemo notizie sul palcoscenico, come è organizzato, l’attrezzatura tecnica. Vedrai, ce la faremo» e gli diede un bacio sulla guancia.
«Prima prepariamo il curriculum e lo spediamo. Abbiamo quasi due mesi per predisporti al colloquio».
«Pronto?»
«Ciao», disse Vanessa.
Lui, tardò un qualche secondo a rispondere. Erano settimane che non si sentivano.
«Ci sei?» chiese lei.
«Sì, sì».
«Greta mi ha detto di quel comune in cerca di personale».
«Sì. Ci stiamo già preparando» rispose, più freddo del solito.
A volte desiderava sentirla, vederla, parlarle, senza in realtà nemmeno sapere il perché; in altri momenti voleva tenerla all’oscuro della propria vita, dei suoi problemi, dei suoi pensieri. Nonostante fossero passati cinque anni, era indeciso se il vuoto che si era creato tra loro, voleva riempirlo di nuovo. Non l’odiava, non l’amava. Rimaneva un’ombra, un fantasma. Un sentimento confuso, cui non sapeva dare un nome e che forse un nome nemmeno aveva. Lei pareva non avere nessun dubbio riguardo al loro rapporto.
Si riprese e cercò di mettere più calore.
«Può essere un’occasione, anche se sono solo i mesi estivi. Però, è meglio di niente. Sono combattuto».
«È sempre meglio provarci, no?»
«Sì. Certo».
Fecero una pausa. Tutti e due, indecisi, per paura di intromettersi nella vita dell’altro.
«Hai bisogno di una mano?» disse lei, sottovoce.
«Mi sta aiutando Greta. Comunque, grazie. Se avrò necessità di un consiglio, ti avverto».
«D’accordo… mi tieni aggiornata, se ti va?»
«Sì. Va bene».
«Ciao».
«Ciao».
Vladimiro rimase qualche minuto con la cornetta in mano, perplesso. Aveva piacere di sentirla, di farsi aiutare oppure al contrario, voleva dimostrarle che sapeva cavarsela benissimo da solo? Non seppe darsi una risposta.
Le settimane successive padre e figlia le trascorsero animati da uno spirito nuovo di vicinanza. Parevano entrambi provenire da un labirinto in cui si erano persi di vista e ora si erano ritrovati, all’uscita.
Vladimiro trascorse lunghe ora attaccato alla tastiera del computer per raccogliere informazioni, idee, nomi di drammaturghi, storie di compagnie, di teatri, così come i nomi di attori, attrici, passati e presenti, mentre alla sera, dopo avere presto in prestito i libri necessari in biblioteca, leggeva testi teatrali, imparava i nomi dei principali festival nazionali e internazionali.
Stava andando alla scoperta di un mondo che in tutti gli anni trascorsi all’Astoria, aveva solo sfiorato e che, però, come un concime che fertilizza il terreno, lo aveva nutrito.
«Ciao», disse Vladimiro e sfiorò con un bacio la guancia di Volya.
«Ciao», rispose lei, ricambiandolo, ma conscia, dopo la breve telefonata della sera prima, che la sua venuta non era per un rapporto e il volto di lui non riusciva, come sempre, a nascondere le emozioni. Gli piaceva per questo, era trasparente.
«Caffè?»
«Sì», rispose lui, d’improvviso più disteso.
«Ho delle novità. Per questo non mi sono fatto più sentire» disse Vladimiro.
Lei, intenta alla preparazione della moka, non fece trapelare il dispiacere provato dalla sua prolungata assenza, e rispose allegra. «Positive?»
«Sì. Forse».
Si girò e si andò a sedere sulle sue gambe. Lo baciò delicatamente. Gli scompigliò i corti capelli e lui, come sempre si ritrasse, fingendosi indispettito.
«Ho spedito un curriculum per un lavoro».
«Ti hanno risposto?»
«Sì. È l’unico arrivato».
«Grande!» disse lei e l’abbracciò forte.
«Aspetta prima di festeggiare. Mancano ancora venti giorni alla scadenza del bando».
Volya si staccò.
«Bando?»
«Un bando di un Comune… è un po’ lontano da qui».
«Dovrai trasferirti?»
«Se mai dovessi vincerlo, e non è né certo né sicuro, sì. Anzi. Le probabilità penso non siano molte. Però almeno, per ora sono l’unico» e sorrise.
«Ti dispiace?»
«Non vederti più, sì».
«Puoi sempre telefonarmi» disse lei per rassicurarlo senza fare trapelare il senso di felicità e tristezza insieme che la notizia le dava.
«È tutto ancora così incerto…»
«Sono sicura che andrà bene.»
E lo baciò, ora con passione.
«Vuoi rimanere? Ho tempo»
«Sì», rispose Vladimiro e presala tra le braccia mentre lei rideva, la portò in camera da letto.
Continua… la prossima settimana