Andrea Pagani

La nostra rubrica letteraria, “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, in aprile affronta un tema monografico molto curioso, poco conosciuto: letterate da riscoprire. Quattro grandi scrittrici di metà Novecento, che ci hanno consegnato alcune preziose perle letterarie, che forse sono state un po’ dimenticate. Buona lettura!

Non è possibile, per molti artisti, scindere in modo netto il dato biografico dall’opera, o quanto meno trascurare o ignorare alcuni episodi della vita che incidono profondamente sulla poetica e sulla sensibilità di un autore.

Questo ragionamento è ancor più valido per la scrittrice neozelandese Janet Frame (1924-2004), a cui fu diagnosticata una grave schizofrenia, che fu internata per otto anni in un ospedale psichiatrico (definito «un girone infernale»), che fu sottoposta a circa 200 trattamenti di elettro-shock, e che fece di questa drammatica esperienza personale non solo il tema centrale dei suoi libri, ma anche una sorta di percorso di conoscenza, di narrazione – quasi in forma allegorica – del cammino di una bambina dalla strana “discordanza” con il mondo verso la “normalità”, la salvezza e infine la scrittura.

Il libro che probabilmente l’ha resa più nota e da cui la regista Jane Campion ha tratto un film, Un angelo alla mia tavola, ha avuto una genesi articolata, che vale la pena ricostruire nelle sue linee essenziali.

L’opera in effetti nasce da una vera e propria stratificazione di libri diversi, concepiti in diverse fasi della vita della scrittrice, fra il 1982 e il 1985, fondate su tre volumi diversi, pubblicati prima separatamente e poi incastonati uno dopo l’altro, L’isola del presente, Un angelo alla mia tavola, La città degli specchi, titoli poetici, allusivi e espressivi, che collocano ogni volume dentro uno spazio e un tempo precisi, un principio ed una fine, eppure allo stesso tempo proiettati in una dimensione incantata.

Le vicende, infatti, non vengono registrate in modo oggettivo e fotografico, ma in relazione al riverbero emotivo che quei fatti hanno nell’autrice, il che, determina, ovviamente, un’autobiografia tutt’altro che attendibile, ma al contrario un’autobiografia sentimentale, soggettiva, qualcosa di simile al cosiddetto “romanzo di formazione”.

Basterebbe il fulminante incipit a restituire l’atmosfera complessiva che il lettore andrà a respirare: «Dalla prima regione di liquida oscurità, nella seconda regione di aria e di luce, ho redatto le seguenti note con il loro misto di fatti e di verità e memorie di verità con lo sguardo sempre fisso alla Terza Regione, dove il punto di partenza è il mito».

Quello che sembra interessare a Janet Frame, e che fin dall’infanzia l’affascina, è il potere dell’immaginazione che si riflette nel valore del mito, che si esemplifica, ad esempio, nella suggestione dei nomi che nella sua prosa vengono distorti (proprio come si fa da bambini) nella pronuncia e nella grafia, il cui aspetto deformato finisce per assumere una pregnanza semantica superiore a quello della parola corretta.

Ad esempio quando nel primo anno di scuola elementare Janet scopre in un libro di avventure la parola island, isola, si rifiuta di pronunciare la parola in modo corretto, zittendo la s, e quindi costruisce una nuova frase is-land, che diventa appunto terra che è, che esiste, isola del presente: il titolo del primo libro, To the Is-Land.

E via di seguito, l’intera opera si costruisce su questa prodigiosa capacità di “ri-creare”, di fantasticare e inventare un mondo nuovo, un altrove immaginifico, una gigantesca meravigliosa fiaba: la dimensione mentale visionaria, e talvolta allucinata, dello sguardo poetico di Janet, il luogo dove vorrebbe vivere e che vorrebbe visitare.

Con ogni probabilità, come suggerisce Anna Nadotti nell’introduzione all’opera, ciò che dobbiamo apprezzare, entrando nell’universo di Janet Frame, è «l’accuratezza, il suo sforzo di raccontare i fatti della propria vita dis-facendone a poco a poco la trama per creare un nuovo intreccio, per risignificare la propria storia, e quindi se stessa».

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(Andrea Pagani)