Capitolo 15
Greta aveva convinto i genitori a trovarsi tutti e tre insieme a mangiare e ambedue avevano accettato solo per compiacere la richiesta della figlia, ma consapevoli e impauriti per l’imbarazzo che avrebbero forse provato; era la prima volta dopo la separazione.
«Quando l’hai saputo?» chiese Osvaldo a Vanessa appena lei gli ebbe dato la notizia.
«Stamattina» rispose lei intenta a preparare la cena per lui; in realtà ne era a conoscenza da tre giorni ma per un motivo che non sapeva spiegarsi, non aveva trovato il momento per dirglielo. «È mia figlia» proseguì, come per scusarsi.
«Certo. Quanto sta via?» chiese lui, senza nominare nemmeno il nome “Vladimiro”, che lui disprezzava profondamente per la profonda paura che ancora aveva di non avere il pieno possesso di Vanessa.
«Sei mesi, sempre che fili tutto liscio».
Lui non rispose senza nascondere però un sorriso di soddisfazione. Quel coglione si sarebbe levato di torno e sperava, questa volta, per sempre. E se si fosse portata via anche “l’artista”, così aveva sopranominato Greta, Vanessa si sarebbe infine convinta a sposarlo.
Osvaldo la guardava sulla porta della camera da letto mentre lei si vestiva, più elegante del solito e Vanessa cercò di mascherare il disagio che avvertiva.
“Un po’ di gelosia gli farà bene” pensò.
Si diedero il solito breve bacio sulla porta. Lei uscì e provò un senso di leggerezza.
L’idea di Greta della cena con la madre aveva sorpreso il padre, che sul momento aveva tergiversato.
«Non so se avrò tempo da dedicare alla cucina».
«Non è la regina d’Inghilterra. Non pretende certo dei piatti da ristorante a cinque stelle» rispose lei, senza volere mettere in risalto il dispiacere per la riposta. «Ti aiuterò» aggiunse.
«Ci penserò» rispose lui vago.
Ma lei insistette: «Ti dà così fastidio vederla o c’è dell’altro?»
Era la prima volta che Greta poneva una domanda così diretta sullo stato della relazione tra i genitori dopo la separazione.
«Non c’è niente» rispose brusco.
Lei si alzò dalla tavola e preso il piatto, le posate, il bicchiere, li posò nel lavandino con malagrazia, andò in camera sua e chiuse la porta.
Vladimiro rimase immobile per alcuni minuti, incapace di una qualsiasi reazione, combattuto tra il pensiero di non assecondare il bisogno della figlia di capire e il non voler ammettere i sentimenti contrastanti che provava per Vanessa, cui pensava di essersi liberato. Una molla nel suo intimo lo fece alzare quasi di scatto, bussò.
«Entra» rispose lei.
Era distesa sul letto, il portatile sulle ginocchia. Lui si sedette accanto.
«Hai un’altra, vero?» Prima che lui potesse rispondere, proseguì. «Sono una donna anch’io, se ancora non l’hai notato. Sento il suo profumo, quando torni. Mi piace» sorrise.
«È complicato» rispose, con un tono sfuggente.
«È sposata?»
«No. Direi peggio, almeno per la morale attuale… e anche passata».
«Quanti anni ha?»
«Venticinque…»
«Complimenti!» rise «ho un padre Casanova. L’ami?»
«Forse. Non lo so».
«E lei?»
«Direi di no. Forse mi vuole un po’ di bene».
«Magnifico!»
«Non c’è niente di non detto. È tutto chiaro» disse quasi con rabbia Vladimiro.
«Ti vergogni di lei visto che non mi hai mai detto nulla?»
«No» senza convinzione.
Si alzò, indeciso se continuare un dialogo che stava divenendo pericoloso e la voglia di raccontarle la verità, per quanto difficile fosse. Andò alla finestra. Le giornate si erano allungate e nonostante fossero le venti passate, il cielo era inondato dagli ultimi bagliori rosati del tramonto. Avvertì una strana sensazione di serenità.
«È una prostituta» disse tutto d’un fiato.
Greta rimaneva in silenzio. «È una …»
«Ho capito» disse ora gelida. «L’amore è proprio cieco» continuò con un filo di voce.
«Mi dispiace» disse lui, lo sguardo sempre puntato sulla porzione di cielo ormai dilavato dal rosa e sempre più avvolto dal blu della sera. Avrebbe voluto mettersi a piangere; erano anni che non ci riusciva più. “Che cazzo sei diventato?” si chiese specchiandosi nel vetro.
«Avevo bisogno…»
«Di scopare?»
«È così assurdo? Non ho novant’anni, anche se tu mi consideri vecchio, forse da buttare via».
«Non l’ho mai pensato».
«E nessuna donna mi ha voluto tra i piedi. Mi credi?»
«Sì. Mi dispiace. Non ne abbiamo mai parlato, dell’amore… del sesso».
«Non è facile. Anche per te, penso. Pensavo che ti fossi confidata con la mamma» continuò Vladimiro senza riuscire a voltarsi.
«No. Mi ha accompagnato dal ginecologo, ha detto solo di stare attenta e mi ha procurato i preservativi. Altro non mi ha detto. Anche per le mie amiche è così. Mi sono sentita sola».
«Anche noi ci siamo dovuti arrangiare. Non saprei nemmeno da dove cominciare, cosa e come dirtelo, un gran casino. Scusami, se non sono un padre perfetto» disse con amarezza.
«Non l’ho mai preteso. Anch’io non sono una figlia perfetta. Come si chiama?»
«Volya. È russa. Vuole smettere. E non mi manca solo il sesso. Anche l’amore».
«Io pensavo di avere capito tutto…»
«A sedici anni?» disse con affettuosa ironia e si voltò.
«Sì. Sono proprio una stupida».
Lui si avvicinò e l’abbracciò.
«No. Non sei stupida, anzi. Non si finisce mai di conoscersi, sempre che si abbia voglia di farlo e non ci viene regalato niente, neanche l’amore. Dobbiamo conquistarcelo e una volta trovato annaffiarlo e concimarlo tutti i giorni».
«Che padre saggio!» disse ironica e poi, più seria «L’hai staccata la spina con mamma?»
«Penso di sì».
«E perché allora non vuoi che venga a cena? Osvaldo?»
«No. Vorrei avere una relazione serena, ma non riesco a capire cosa provo per lei; forse è solo nostalgia. Quando la vedo mi agito, senza un motivo, a volte penso molto a lei, al passato, a volte non ho nessuna voglia d’incontrarla. Hai un padre così incasinato che non ti è di gran aiuto».
«Lo so. Ma vai bene così» e lo strinse forte.
La Zitella procedeva senza fretta in mezzo alla campagna assolata a non più di ottanta chilometri orari; la velocità massima, se non si voleva mettere a rischio la meccanica antidiluviana, divenuta poco affidabile dopo decenni. Greta sapeva bene cosa lo preoccupava. Ma aveva capito che le parole al momento non erano necessarie; era più importante la propria presenza. L’aria era attraversata dalla brezza di una primavera che era ritornata simile a tanti anni prima. Il cielo indaco macchiato da ovattate nuvole trasparenti, pareva abbracciare nella sua profonda infinità, l’essenza stessa della vita sulla terra.
Vladimiro e Greta, sprofondati nei propri pensieri, si lasciavano accarezzare dal vento profumato che entrava dai finestrini abbassati. Greta, da qualche tempo, era sprofondata in una strana quiete, inondata a volte da momenti di una felicità infantile e inarrestabile che a volte la faceva piangere senza un motivo preciso.
Negli ultimi mesi era stata invasa da una vitalità che non pensava di possedere e che l’aveva portata a volere affrontare nuove strade, senza più farsi condizionare dai giudizi degli altri, dal caso o dall’estro del momento; l’incontro con lo psicologo, i buoni risultati scolastici, l’apprezzamento di insegnanti, compagni di classe, del padre per i suoi lavori artistici, divenuti ora più complessi, articolati, l’avevano resa più sicura di sé.
L’avventura che stava iniziando con lui la elettrizzava. Il tempo trascorso per aiutarlo, sostenerlo nella preparazione del curriculum, nell’ascoltare i suoi dubbi, nell’appoggiarlo in quella, folle, idea e nella confessione della sua relazione clandestina, li avevano fatti rincontrare; non era più solo sua figlia, ma ora anche complice, assistente, amica, sorella. Lo guardò. Era concentrato alla guida e silenzioso.
Mancava più di un’ora all’arrivo. Adesso voleva solo godersi quella specie di gita e riandò con la mente alla sera precedente la partenza.
Continua… la prossima settimana