Questa primavera, finalmente, ho ricominciato gli incontri con i ragazzi delle scuole superiori. Ho trascorso una mattina al liceo Mattei di San Lazzaro di Savena e un’altra al Valeriani di Imola. Sono passato dalle domande timide e impacciate dei ragazzi di prima al dialogo schietto e senza fronzoli con quelli di quinta. Parlare con i ragazzi delle superiori è una delle cose che preferisco.
Di solito mi presento raccontando loro che mi sono diplomato al liceo Giordano Bruno di Budrio, nel lontano 1993, con un modestissimo trentasei, il confine minimo della sufficienza, quello che per loro, oggi, sarebbe un sessanta. Se torno a quei giorni, ricordo che mi affacciai all’esame di maturità con un quattro in fisica e un tre in matematica, non male per uno che aveva scelto il liceo scientifico.
“Quindi, quello che vi porto, è un messaggio di speranza”, dico loro, dopo aver narrato le mie gesta scolastiche. “E ve lo dice uno che poi si è iscritto a Scienze politiche, ovvero la facoltà di chi non sapeva dove sbattere la testa”.
“Scienze Politiche? Ma vai a Economia e Commercio”, queste le parole di mio padre, in quel lontano ’93, dopo aver appreso le mie intenzioni.
“Guarda che a Scienze Politiche insegna Romano Prodi”, risposi, sapendo di toccare un tasto sensibile. Perché mio padre, se mia mamma glielo avesse permesso, si sarebbe appeso una gigantografia del Mortadella in tinello, da quanto lo stimava. E Scienze Politiche fu, con tutto quello che venne dopo.
Insomma, quello che oggi tento di trasmettere a questi ragazzi, generazione fragilissima ma sulla quale ripongo enorme fiducia, è che prima o poi incontreranno la loro strada, e non sempre combacerà con gli studi fatti, anzi. Una sola cosa è importante: essere curiosi. La curiosità è alla base di tutto e loro, sotto questo aspetto, hanno una fortuna enorme, quella di poter conoscee ciò vogliono in un attimo.
Ricordo quando, alla loro età, guardando un film mi imbattevo per caso in una canzone sconosciuta che mi lasciava senza fiato. Restavo così, con quel prurito che altro non era se non il desiderio impellente di sapere titolo e cantante. Allora aspettavo trepidante i titoli di coda, regolarmente segati dopo pochi secondi dalle televisioni commerciali. Quindi, il giorno dopo, provavo a canticchiarla penosamente a mio cugino più grande, espertone di musica, oppure camminavo fino al centro commerciale, da Camarillo Music, e riponevo le mie speranze nel commesso dai capelli a caschetto. Serviva culo. La situazione si ripeteva in mille altre occasioni, giorno dopo giorno. Per sapere dovevi scavare, ma lo dovevi fare a mani nude, ed era spesso un’impresa impossibile. Oggi una colonna sonora la puoi shazare e, in un secondo hai titolo e nome della band, ci clicchi sopra e via, voli su Spotify e hai davanti agli occhi tutta la discografia e la storia gruppo. Foto, video, interviste… tutto a portata di un click. Funziona così per qualsiasi cosa, un mare di informazioni nelle quali ci si può perdere, e che magari ti porta a una bulimia di informazioni da farti venire la nausea, ma che avrei pagato come oro per avere a disposizione a quell’età. Io, che l’unica cosa che avevo, era la copiosa mazzetta di giornali che mio padre portava a casa tutte le sante sere, e che per me era come pane caldo appena sfornato.
Corrado Peli – Meglio che niente (Archivio)