La nostra rubrica letteraria, “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, propone il secondo appuntamento con storie di avventura, di mare, di viaggio, il tema monografico del mese di maggio. Mondi incantati tutti da scoprire. Buona lettura!
Cos’è un classico? Italo Calvino, in una sua celebre e folgorante definizione, disse che «Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire». E, in effetti, il carattere di un romanzo intramontabile consiste, in buona sostanza, nella sua “vocazione universale”, ossia nel proporre temi e spunti di riflessione che, sebbene legati ad una trama e ad un contesto preciso, d’avventura, di società, di epoca storica, riescono tuttavia a restare nel tempo, a tramandarsi nelle generazioni a venire.
Di certo, a questo canone del classico si riconduce un libro che la manualistica definisce come un romanzo d’avventura, ma che, a ben vedere, è un libro assai complesso e stratificato, tutt’altro che scontato, travalica il genere, affronta temi e strutture di assoluta modernità, tocca in modo trasversale argomenti di ogni forma di scrittura: L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, pubblicato per la prima volta a puntate nella rivista per ragazzi “Young Folks” fra il 1881 e 1882 con il titolo di Sea Cook, or Treasure Island (“Il cuoco di bordo ovvero l’isola del tesoro“).
Basterebbe esaminare, ad esempio, la caratterizzazione di uno dei personaggi principali del libro, Long John Silver, per rendersi conto della complessità del romanzo: Long John Silver, infatti, emblema dell’ambiguità della morale, è un personaggio di certo non buono ma neanche completamente cattivo.
Quando all’inizio della storia il conte Trelawney, che si occupa dell’acquisto della goletta per compiere il viaggio sull’isola del tesoro, sceglie di arruolare fra i marinai come cuoco di bordo, Long John Silver, molto popolare e temuto da tutti, che cammina appoggiato a una stampella, è ignaro del fatto che in realtà Silver è un pirata ed è intenzionato a impadronirsi della nave e poi del tesoro. Eppure, nel corso della storia si rinvengono tratti singolari di Silver, perché, dopo l’ammutinamento e la presa della nave assieme ad altri pirati, egli mostrerà rispetto, se non addirittura compassione nei confronti dei prigionieri, ad esempio verso il giovane marinaio Jim Hawkins, voce narrante, a cui in qualche modo Silver si affeziona e che protegge, impedendo agli altri pirati di maltrattarlo e torturarlo.
Non dobbiamo dimenticare che Stevenson è il geniale autore di un altro capolavoro, Lo strano caso del dr Jekyll e Mr Hyde, dove in una rapinosa forma narrativa si affronta uno spinoso tema filosofico: la compresenza del bene e del male, la stratificazione della personalità, l’irresolubile conciliazione fra l’oscurità e la luce. Così, se leggiamo anche L’isola del tesoro, in margine a questi grandi temi, senza perimetri di generi e pregiudizi di canoni, ci accorgiamo che in questo sorprendente romanzo vi convivono, sì, l’avventura, il fascino per il viaggio e il mare, l’attrazione per il rischio e la peripezia, ma anche il romanzo di formazione (nella figura del narratore Jim), del romanzo drammatico e gotico, addirittura del romanzo intimista e introspettivo.
È questo che fa di un libro un capolavoro: la sua imprendibilità, l’impossibilità di congelarlo dentro una categoria.
Il progetto dello “Scaffale” >>>>
Vai all’archivio dello “Scaffale” >>>>
(Andrea Pagani)