Ero un bambino da scuola elementare: ricordo come fosse oggi che nel negozio di barbiere di mio padre ascoltavamo la radio. Veniva annunciato il radiomessaggio di Papa Giovanni XXIII, poi trasmesso dalla Radio Vaticana alle ore 12 di giovedì 25 ottobre 1962. Parlando in francese, il Papa rivolse un fervido appello per instaurare e consolidare il bene supremo della pace, toccando le coscienze di milioni di persone, senza distinzione di credo religioso.
“Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione. Noi supplichiamo tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze”.
Se ricordiamo il famoso “Discorso della luna”, pronunciato appena quindici giorni prima, la sera dell’11 ottobre 1962 all’apertura del Concilio, c’è il senso emozionato di Giovanni XXIII davanti a un avvenimento che gli pareva talmente grande, per la sua portata mondiale, da creare una novità anche sul piano dei rapporti tra tutti gli esseri umani e, dunque, anche sul piano della pace.
Ma chi ha il potere di fermare la guerra davvero? È inevitabile, in questi momenti, tornare con la memoria a quando l’umanità si trovò anche allora davanti all’abisso di una terza guerra mondiale nucleare.
Erano i giorni della cosiddetta crisi di Cuba, quando domenica 14 ottobre 1962 il presidente americano John F. Kennedy fu informato della presenza nell’isola di missili russi a medio raggio.
Kennedy ne ordinò il blocco navale, chiedendo la rimozione dei missili: in caso contrario avrebbe attaccato l’isola, provocando di fatto la reazione sovietica, e quindi lo scoppio di una guerra nucleare.
Quel messaggio di Giovanni XXIII, secondo gli storici, avrebbe aiutato a far cambiare idea a russi e americani.
Ma perché allora si evitò la guerra e oggi le medesime parole di Papa Francesco sono ignorate? È cambiata la storia e sono cambiati i suoi protagonisti.
Solo nel 2000, con l’apertura degli ex archivi sovietici, si venne a sapere che il Papa aveva in precedenza inviato il suo messaggio agli ambasciatori russo e americano. I leader delle due superpotenze ne furono estremamente colpiti. Kennedy, primo Presidente americano cattolico, aveva personalmente chiesto l’intervento di Papa Giovanni XXIII. Dall’altra parte Nikita Krusciov, un ex contadino, nativo dell’Ucraina, che denunciò pubblicamente i crimini di Stalin, era stato il primo leader sovietico, nel 1959, a visitare gli Stati Uniti per incontrare il Presidente americano Eisenhower.
Entrambi, Kennedy e Krusciov, avevano capito di essere nelle mani di un potere più forte del loro, quello dell’apparato militare che voleva la guerra a tutti i costi.
Il presidente americano non soltanto respinse le loro pressioni per attaccare Cuba e l’Unione Sovietica: peggio ancora, si rivolse al nemico in cerca di aiuto, con un approccio “empatico”, tra il segretario alla giustizia Robert Kennedy, suo fratello, e l’ambasciatore sovietico negli Usa, Anatoliy Dobrynin.
I generali americani, forse, lo considerarono un atto di tradimento, oggi comprendiamo che fu il passo decisivo. Krusciov lo vide come un segno di speranza. Quando ricevette l’appello di Kennedy a Mosca, si rivolse al suo ministro degli Esteri, Andrei Gromyko, dicendo: “Dobbiamo far sapere a Kennedy che vogliamo aiutarlo. Ora abbiamo una causa comune, salvare il mondo da coloro che ci stanno spingendo verso la guerra”.
Ad un mese dal suo intervento alla radio, Giovanni XXIII scrisse nel suo diario: “Ricevuto il polacco Ierzy Zawieyski confidente del card. Wyszynski, e bene accetto a Gomulka (leader comunista polacco) il quale lo incaricò di portare il suo saluto al Papa, e a dirgli che la liquidazione del terribile affare di Cuba egli la ritiene dovuta allo stesso Pontefice”.
Nelle crisi ci vuole sempre un “negoziatore”!
(Tiziano Conti)