Bologna. Per meglio comprendere questa modalità di lavoro senza infatuazioni ideologiche, la Fim Cisl ha lanciato nel mese di maggio dello scorso anno, insieme ad Adapt e all’Università Cattolica di Milano, una ricerca tra i lavoratori metalmeccanici somministrando oltre 5000 questionari.
Lo studio ha restituito un quadro sul lavoro agile che consente di conoscere e analizzare le condizioni di lavoro e la percezione dei lavoratori metalmeccanici, rispetto alle modalità di lavoro agile esplose a causa della pandemia. Un primo dato interessante, è che sono le grandi città come Roma, Milano, Torino, Trieste, Genova e Bologna quelle da cui è pervenuto il maggior numero di risposte maggiormente coinvolte in questa modalità lavorativa.
Altro dato è quello della popolazione lavorativa che ha risposto alla ricerca composta per il 63% da uomini e 37% da donne, prevalentemente da diplomati (37%) o laureati (39%); per il 38% senza figli e per il 56% con 1 o 2 figli; per il 35% in età compresa tra 45 e 54 anni.
Si è trattato di una ricerca, un tempo si sarebbe detta operaia, sul campo unica nel suo genere, che finalmente fa chiarezza sul reale andamento e le caratteristiche dello smart-working a partire dalla condizione concreta dei lavoratori e non da idee astratte.
Il dato che emerge è ambivalente ma interessante: lo smart-working certamente è una modalità di lavoro impegnativa, ma che risulta in buona parte sotto controllo e permette una flessibilità di tempo molto apprezzata dalle persone.
Emergono però dei limiti, in particolare si registra la necessità di un più consapevole coinvolgimento dei lavoratori che devono ricevere più formazione ad-hoc, più coinvolgimento su diritto alla disconnessione; vengono in evidenza superamenti dei limiti di orario, ma in generale l’esperienza di lavoro agile viene promossa dalla maggioranza dei lavoratori interessati dalla ricerca.
E’ da queste criticità che dovremo partire per gestire e migliorare la modalità di lavoro agile. Sono criticità che riguardano soprattutto il fatto che molte aziende hanno cominciato questa modalità lavorativa solo con l’emergenza sanitaria e pertanto hanno necessità di organizzarsi e renderlo strutturale dentro la loro organizzazione del lavoro. Su questo fronte è chiaro che il lavoro agile chiede nuove soluzioni contrattuali e condivise, che possano migliorare questa modalità di lavoro, conciliando sempre più i tempi di vita e di lavoro delle persone e il loro benessere con le esigenze di lavoro e produttività delle imprese. E’ positivo che molti lavoratori si dichiarino interessati a continuare questa esperienza di lavoro e che ne apprezzino soprattutto le caratteristiche di flessibilità.
Una possibilità, quella del lavoro agile, diverso dal “telelavoro” degli anni ’90, possibile solo grazie alle nuove tecnologie e che ha permesso di slegare per molte professioni la dimensione lavorativa da quella dello spazio, permettendo quindi una migliore gestione del rapporto tra vita e tempi di lavoro, aumentando e come molti studi hanno dimostrato – anche la produttività d’impresa.
Dopo l’esperienza che abbiamo avuto durante la pandemia e dal nostro studio è evidente che indietro certamente non si torna. I lavoratori, da quanto è emerso dalla nostra ricerca prediligono una modalità di lavoro ibrido che punta a rivedere la distribuzione della settimana lavorativa tra lavoro in presenza e attività in smart-working.
Molti gli accordi che stiamo sottoscrivendo, di secondo livello, su grandi gruppi (vedi Leonardo) puntano proprio alla “normalizzazione” del lavoro in smart-working dentro l’organizzazione del lavoro dell’impresa. E proprio questo è quanto oggi siamo chiamati a fare, non serve altra normativa ma più contrattazione. Superata la fase di emergenza, bisogna rafforzare sempre più il ruolo delle parti sociali dentro una contrattazione che sappia, in chiave innovativa, non solo governare le flessibilità di questa modalità di lavoro ma porre al centro il lavoro per obiettivi, sostenibile e governato dal lavoratore stesso, in modo che possa corrispondere ai cambiamenti di un lavoro sempre più legato ai risultati e meno alla presenza.
Nel nostro territorio, tra le attività che vengono fatte da remoto ci sono spesso quelle che prima facevano i montatori trasfertisti delle aziende del packaging, fiore all’occhiello della nostra regione. Alcune di queste attività, grazie alla tecnologia (dai visori VR all’AI) possono essere remotizzate con impatti positivi in termini sia di aumento della produttività da parte delle aziende che di riduzione dell’impatto ambientale.
Un obiettivo quest’ultimo su cui la FIM sta ragionando quale criterio per un premio di risultato finalizzato a premiare e quindi riconoscere ai lavoratori che ridurranno le proprie attività in presenza a favore di quelle da remoto attraverso l’indicatore della riduzione della CO2 emessa. E’ chiaro che queste attività vanno supportate con opportuni strumenti tecnologici ma anche con tanta formazione in modo da mantenere alti i livelli di professionalità delle persone. Un tema quello della formazione che si lega anche a quello della salute e sicurezza del lavoro in remoto che andrà via via studiato e regolato attraverso accordi aziendali che tengano conto delle peculiarità delle varie attività lavorative e strumentazioni.
In conclusione, il lavoro agile è una delle tante modalità con cui la tecnologia ci permette di organizzare il lavoro: sta a noi saper conciliare salute, ambiente, lavoro con una contrattazione nuova e moderna, accompagnando le transizioni in atto nel mondo del lavoro passando dall’emergenza ad una nuova normalità fatta di più tecnologia e riconoscimento del valore del lavoro.
(Roberta Castronuovo, segretaria regionale della Fim Cisl Emilia Romagna)