Andrea Pagani

La nostra rubrica letteraria, “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, propone il quarto appuntamento con storie di avventura, di mare, di viaggio, il tema monografico del mese di maggio. Mondi incantati tutti da scoprire. Buona lettura!

Uno degli aspetti che non finisce di meravigliare, e che in qualche maniera impressionano e lasciano sgomenti, nei romanzi di Jules Verne è la capacità di descrivere situazioni estreme, al limite del verosimile, con una minuzia di particolari e persino con una scientificità di dettagli che sconcertano, se si pensa, oltretutto, che sono romanzi scritti per la gran parte nella seconda metà dell’Ottocento.

Senza dubbio, gli anni di studio dello scrittore a Parigi, nella Biblioteca Nazionale (dove ebbe modo di approfondire argomenti geografici e casi storici), i numerosi viaggi in nave sul piroscafo Great Eastern, l’attitudine alla ricerca meticolosa e alla pignoleria nei campi della zoologia, fisica, chimica, tecnologia, geografia (prova ne è la compilazione di un indice a schede di oltre ventimila voci, una vera e propria enciclopedia), spiegano in parte la magnificenza dell’opera di Verne. Ma la spiegano solo in parte. Perché c’è una componente imperscrutabile, nella straordinarietà inventiva delle sue storie, raccontate con un rigore esatto e autorevole, che connotano l’evidenza del genio.

Un libro significativo è Un inverno tra i ghiacci (1855), una storia ambientata nel gelo delle regioni polari, dove s’intrecciano avventura, fascino del rischio nella sfida contro la natura, e drammi sentimentali.

Anche se si tratta di una prova giovanile, scritta ad appena 27 anni, Verne mette in mostra gli strumenti di una speciale abilità e maturità narrativa, sia per la caratterizzazione dei personaggi, sia per la costruzione della vicenda, fondata su un unico vero protagonista: il mare, tema ricorrente in Verne, a simboleggiare l’attrazione e la ricerca – anche rischiosa – di libertà da parte dell’uomo.

In questo caso, il mare è quello del circolo polare, solidificatosi in ghiacci immensi, che diventa la trappola in cui i personaggi devono vivere la loro esperienza. Il vecchio marinaio Jean Combutte abbandona le coste tranquille del Mare del Nord per andare alla ricerca del figlio Louis, il quale, nel corso di una missione commerciale nel Nordeuropa, aveva abbandonato la propria nave per soccorrerne un’altra in difficoltà ed era così scomparso. Sostenuto da una fede incrollabile nella possibilità di ritrovare il figlio vivo, il padre guida una spedizione verso i mari dell’Artico e le coste della Groenlandia, dove l’equipaggio trascorre un intero inverno in condizioni estreme. La descrizione di questo ambiente inospitale, dei pericoli cui gli uomini devono far fronte con il loro ingegno, la loro forza di volontà e le conoscenze tecniche e scientifiche, si accompagna in questo romanzo alla messa in scena dei caratteri dei protagonisti.

È qui che Verne intreccia, con sapiente maestria, il ritmo dell’avventura, la meticolosa ricostruzione degli ambienti polari, e il dramma sentimentale degli uomini, i conflitti fra i marinai, una complicata rete di competizioni, ammutinamenti, gelosie, tant’è che il plot non riesce mai scontato, didascalico, prevedibile, ma anzi mette in campo la miglior tradizione del romanzo gotico e di suspense, grazie a vibranti colpi di scena.

È inesatto – e forse anche immeritato – recludere Verne al solo genere dell’avventura, perché sugli elementi tradizionali di questo genere lo scrittore francese inspessisce risvolti umani, temi come l’amicizia, la lealtà, l’amore ma anche l’ambizione sfrenata, il tradimento, la vendetta, la crudeltà.

Ancora una volta, come succede nei grandi romanzi, ai rischi della natura si intrecciano i pericoli creati dai sentimenti peggiori dell’uomo che possono essere più devastanti di quelli naturali.

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(Andrea Pagani)