L’assuefazione a prospettive che parallelamente fanno parte della nostra vita porta (a volte), a guai contrari all’empatia di cui invece ci sarebbe bisogno è ciò che si sta rischiando col conflitto russo-ucraino ed alla sua prospettiva apocalittica iniziata a febbraio ed alla quale si stiamo man mano “abituando”, con l’Ucraina che non sta vincendo e la Russia che non sta perdendo.

Per la prima sarà una tragedia e per la seconda un disastro. Prospettive queste a cui tendiamo a sovrapporne di altre ben più “soft” come ad esempio quella legata al periodo ovvero la Bolkenstein, quando in spiaggia dal 2024 si andrà a “bando”. Oppure a prospettive più inerenti al “Wellness&Food” made in Italy dove, banditi i ristoranti affollati lowcost, la luce in fondo al tunnel post-pandemia saranno le esclusività delle “tavole dello chef&wine bar 4.0” che scopiazzano i progetti pionieristici californiani dei Club privati made in Usa (quote da 1.900 a 3.600 euro/anno), dove farsi coccolare da chef talentuosi che serviranno e presenteranno le proprie creazioni e al contempo si potrà stringere legami con i produttori di tante “preziose” derrate agricole che (forse) sveleranno ai fortunati e danarosi commensali parte dei centenari segreti generazionali della filiera di casa.

Sarà il concatenarsi di altre informazioni di carattere più ludico che porta con sé la bella stagione, ma sembra che la guerra (quella vera) sia diventata preda di una grande “lentezza”, con le news dal fronte ucraino che non vengono più “battute“ in tempo reale e non si rincorrono più come successo nei mesi passati, ora dopo ora a velocità doppia, forse tripla, rispetto a quella odierna.

Prima i due anni di pandemia a calamitare l’attenzione, a inquietare i nostri sonni e amplificare paure con lo strascico dei morti nella stessa assurda escalation cui abbiamo assistito impotenti al ricordo di pandemie passate, ed è stato così anche con la guerra russo-ucraina malgrado ci sia arrivata fino alle porte di casa, che oggi è diventata quasi un’abitudine.

Dall’inizio del conflitto russo-ucraino l’attenzione è scemata di mese in mese, l’accoglienza dei profughi non riempie più le prime pagine dei quotidiani come non è più prioritario per l’opinione pubblica il tema dell’approvvigionamento delle materie prime.

In Ucraina invece i viveri continuano a scarseggiare, le medicine non si trovano così come pure l’acqua. Ma l’estate è alle porte e la prospettiva “vacanze” la fa da padrona in barba all’emergenza umanitaria e la solidarietà che in ferie non ci vanno, da ciò il pericoloso parallelismo di situazioni che a prescindere dagli eventi ci fa (colpevolmente) mettere il cuore in pace.

Non esistendo guerre giuste, è logico essere “contro” chi la guerra la comincia attaccando almeno quanto chi la guerra la continua pur difendendosi, ma sequenza, abitudine e attenzione mediatica creano nel tempo “assuefazione” e senso di impotenza all’ingegnarsi per evitare guerre da parte di cittadini e governanti.

Senz’altro siamo di fronte a qualcosa di nuovo rispetto al passato, che sì spaventa, ma (purtroppo) anche affascina, complice la socializzazione mediatica che sembra andare oltre i confini del tempo e dello spazio, riducendo le distanze tra le persone malgrado la guerra, perché le fa comunicare sempre e comunque scambiando opinioni, incontrandosi a far parte attiva del proprio habitat pubblico, iniziando a “esserci” per capire dove andrà il futuro, e (quasi) non pensare ad altro.

D’altronde è oggi più che mai che avremo l’opportunità unica e irripetibile di trasformare (in meglio) ciò che ci sta più a cuore a partire dalle “libertà”, soprattutto da quella della paura di venire attaccati da un aggressore, libertà di parola e libertà di religione, finanche dalla libertà del bisogno economico rivolta questa alla Banca centrale europea che non per sempre manterrà a zero o negativi i tassi di interesse e così solide le quotazioni di un debito pubblico esorbitante.

Il rischio di vanificare tutto ciò è quello di perdere fiducia nel progresso delle (buone) idee e non solo di quello rivolto al perfezionamento di tecnologie a rischio di finire (tutti) autodistrutti, così in guerra e così sulla diffusione di nuove malattie o sull’emergenza climatica.

(Giuseppe Vassura)