Poco prima dell’assemblea nazionale della Cia abbiamo chiesto ad un esperto del mondo agricolo una serie di riflessioni, partendo dall’elezione del nuovo presidente di Cia nazionale per poi arrivare ai problemi dell’agricoltura regionale e ai rapporti fra Cooperazione e agricoltori.

In merito al nuovo presidente nazionale la risposta è arrivata il 20 maggio con l’elezione di Cristiano Fini, attuale presidente regionale Cia Emilia Romagna. Ha superato l’altro candidato, Brunelli della Cia Toscana, per 32 voti, ovvero a lui sono andati 214 si contro i 182 di Brunelli, su un totale di 396 delegati presenti (l’assemblea nazionale ne conta  399).

Quindi assistiamo ad una spaccatura, teorica, in ambito nazionale fra il 54% dei delegati a favore del nuovo Presidente e il 46% di delegati che hanno votato Brunelli.  E’ da capire cosa comporterà per gli equilibri interni negli organi dirigenti e quindi sulla governabilità futura di questa Organizzazione. Un primo commento a caldo si può dare e riguarda l’incapacità del presidente uscente, Scanavino, di fare maturare una candidatura condivisa nei suoi 8 anni di mandato. Non solo, essendo Brunelli il candidato supportato da Scanavino, uscito sulla scena  agli inizi del 2021, è sicuramente possibile ipotizzare che la sua sconfitta  sia anche dovuta ad una reazione del territorio alla invadenza/supponenza  della nomenclatura romana. Fini è il primo presidente nazionale che viene dalla regione che contribuisce per il 12,14% al bilancio di Cia nazionale, da sempre. Possiamo dire che questa regione  è sempre stata  l’azionista di maggioranza relativa  a cui era stato  impedito di esprimere il massimo dirigente, fin dalla fondazione della Cia alla fine degli anni ‘70.

E’ ipotizzabile pensare che la componente meridionale della Cia, oltre a pesare sempre di meno come rappresentanza, abbia anche dei problemi rispetto alla tipologia di aziende associate, ovvero che il nucleo forte delle imprese a carattere imprenditoriale sia sempre più localizzato al Nord. Si registra indiscutibilmente per Cia un impoverimento della base associativa a livello nazionale più marcato rispetto ad altre organizzazioni agricole.

L’elezione di Fini ha ricompattato il sistema Cia Emilia Romagna, ricordo che Fini ritirò la sua candidatura per poi ripresentarla. Il balletto delle voci diceva che l’enfant- prodige della  Cia Emilia Romagna, Stefano Francia, attuale presidente nazionale Agia ( Giovani), nonché presidente del Condifesa Ravenna e della Bonifica della Romagna, era tentato a intraprendere  la scalata alla massima carica.
Infatti, unico, fra i delegati emiliano romagnoli, sembra non abbia firmato la presentazione a candidato di Fini. Alla fine della storia, nonostante i mal di pancia che intercorrono, sempre più evidenti, fra Cia Emila Centro ( in mano ai modenesi ) e Cia Romagna ( in mano ai ravennati) queste due componenti sembra abbiano trovato un accordo per evitare di spaccare il sistema regionale su questo importante appuntamento, cosa che non sarebbe sicuramente dispiaciuta alla nomenclatura nazionale e non solo.

Qualche problema comunque in casa Cia Emilia Romagna lo dobbiamo registrare: all’ultima assemblea elettiva regionale non è uscito il nome o i nomi dei vicepresidenti regionali. Si apre quindi adesso una fase caratterizzata dal nome di chi prenderà il posto di Fini alla carica di presidente regionale Cia. Sicuramente l’ex vice presidente regionale Cervi non nasconde la sua aspirazione a questo incarico, ma è ”appesantito” dalla sua non brillante capacità relazionale e anche dalla sua scarsa visione politico sindacale.

Possibile altro candidato potrebbe venire da Cia Romagna (Francia?) che mal sopporta la colonizzazione del regionale da parte di Cia Modena avvenuta in questi anni, in particolare i rapporti  privilegiati tenuti con la Regione da parte del apparato  modenese operante al regionale. Outsider, con poche speranze(?), è il giovane presidente di Cia Ferrara Stefano Calderoni, politicamente capace, ma osteggiato dai cosiddetti agricoltori “puri” che governano, si fa per dire, questa organizzazione. Ha anche scarse speranze di vedere riconosciute le sue capacità con una vicepresidenza regionale, più che guadagnata.

Sempre in merito alla vice presidenza regionale potrebbe essere arrivato il momento di un riconoscimento per il genere femminile, che non trova spazi di crescita in questo contesto al di là delle parole di prammatica. Il punto di caduta per il nuovo presidente sarà comunque deciso dal direttore regionale Razzano (deus ex machina) che sembra non  seguirà il neo eletto Fini a Roma.

Vi è la necessità per i modenesi di continuare a controllare il regionale (e i rapporti con la Regione) evitando di avere un neo presidente regionale che possa intralciare l’azione di Fini nei prossimi anni. Quando uso il termine  intralciare  mi riferisco ad uno dei maggiori problemi sul tavolo, o per meglio dire sotto il tavolo, che è il rapporto fra la cooperazione agricola e i suoi soci.

Senza entrare nello specifico dei numeri possiamo affermare, senza tema di smentite, che il cuore della cooperazione agricola italiana è la nostra regione, il 40% del fatturato nazionale si produce da noi. Basta vedere anche i numeri riguardanti il settore ortofrutticolo in merito ai finanziamenti Ocm, dal 2007 ogni anno vengono erogati mediamente 80 milioni di euro, parliamo di quasi un miliardo e duecento milioni di € in 15 anni. Tanti soldi, a mio avviso spesi male!

Il problema che questa nuova dirigenza dovrà affrontare, il problema per eccellenza, non nuovo, ma che sta aumentando sempre più in considerazione della Pandemia e della guerra in Ucraina,  è la crisi del reddito delle aziende agricole, specie quelle socie. Oramai sono anni che le imprese di base aderenti al sistema cooperativo, ma anche quelle legate al sistema privato non riescono a remunerare i  fattori della produzione. L’applicazione dell’art. 62 si è fermato alle porte di queste strutture, cooperative o simil-cooperative. Così come non si capisce ancora cosa porterà di positivo agli agricoltori le nuove direttive nazionali che vietano le pratiche commerciali sleali da parte della Gdo.
Agrinsieme su questi temi si è presentata divisa in sede di audizione della commissione agricoltura della Camera.  Non si capisce il disegno strategico che questo brand ha, sarebbe il caso di iniziare a riflettere che non può essere solo in funzione di contrasto alla Coldiretti.

Le organizzazioni agricole, sicuramente Cia e Coldiretti, sono legate da rapporti con il mondo cooperativo; il tema della cooperazione è stato sempre “congelato” da parte di Cia nazionale in tutti questi anni in quanto, ritengo, cautelato politicamente dalla Cia regionale. Fini, oramai politico di esperienza, nella sua relazione ha toccato una corda sensibile per i delegati presenti: la necessità di tutelare il reddito delle imprese. Deve passare, in teoria, dalle parole ai fatti, prima possibile.
Il rischio concreto infatti è il dissolversi di una base associativa, per motivi legati sia agli attuali scenari e sia anche ad una perdita di credibilità di Cia che purtroppo è divenuta la più fragile delle organizzazioni  agricole in questi anni.

Infatti la nomenclatura romana, uscita sconfitta il 21 maggio, ha sempre puntato ai servizi alle persone in zona rurale, che tradotto in parole povere significa non avere una strategia politica di medio – lungo periodo, ma vivere alla giornata. Fini e Francia sono imprenditori legati alla cooperazione (sono dirigenti cooperativi) e questo non li faciliterà nelle azioni da intraprendere.

Uno scenario interessante da tenere ben monitorato sarà l’avvicinamento di Cia nazionale, sotto l’egida del neo eletto presidente, nei confronti di Coldiretti, già in essere negli ultimi anni in Regione. Uno scenario di cui si mormora è la possibile incorporazione di Cia nella mitica organizzazione gialla. Questo potrebbe risolvere molti problemi, non ai rispettivi soci ovviamente, ma alle strutture dirigenziali apicali.

Coldiretti potrebbe prendere nuova linfa vitale per continuare nella sua azione di propaganda politica nei confronti delle istituzioni più che mai necessaria per loro, visti i non brillanti risultati economici delle loro innumerevoli iniziative nel campo della imprenditoria.
Per i nostri amici di Cia potrebbe essere la soluzione più facile per continuare ad avere un posticino al sole.
Bisognerebbe capire se esiste una regia esterna che sta lavorando per questa ipotesi, il nostro paese oramai è famoso per le “manine” che aiutano , sempre disinteressatamente …!

Tornando alla  cooperazione questa riuscirà a trovare consensi solo se sarà in grado di ricreare e a nutrirsi nuovamente di quella comunanza di valori che sono alla base della sua nascita. Purtroppo le tecnostrutture sono sempre più lontane da questa visione, la praticano a parole, ma non nei fatti.
Dall’altro verso è purtroppo sconsolante registrare una leva di imprenditori che non sono protagonisti attivi  in questi entità economiche. Molte aziende, con tanti giovani sono usciti dal movimento cooperativo.

Siamo di fronte ad una fase dell’economia che richiede una profonda riflessione critica di ciò che si ha e se  tutto ciò ha ancora una vera funzione. L’agricoltura, non solo quella regionale, non ha mai oscuri particolari, tutto è abbastanza evidente il vero problema è la non volontà di affrontarli per risolverli.
Le organizzazioni agricole dovrebbero stare attente a non farsi metter in fuori gioco da altri attori sindacali che potrebbero entrare prepotentemente in gioco grazie alle loro mancanze.

(r. d.)