“La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che annulla quella storica “Roe vs Wade” del 1973 e che aveva aperto la strada al riconoscimento del diritto all’aborto in molti altri Paesi, annulla 50 anni di progresso civile e il diritto delle donne all’autodeterminazione”, è il primo commento della commissione Pari opportunità del Comune di Imola all’indomani della sentenza che riporta indietro di decenni la condizione femminile negli Stati Uniti.

In pratica ora le donne americane potranno essere penalmente perseguite con pene anche molto dure se scelgono di interrompere la gravidanza. Con loro il personale sanitario che le supporta. Dipenderà dalle norme dei singoli Stati. In 13 di questi su 20, con leggi già fortemente restrittive (vietato anche in caso di stupro o di incesto) si potrebbe decidere l’illegalità totale.

Donne in corteo, anni ’70

“Ancora una volta l’oggetto del contendere è il controllo sul corpo delle donne, la negazione del diritto all’autodeterminazione. Le guerre, la violenza maschile sulle donne, i femminicidi, le crociate antiabortiste e si aggiungano le discriminazioni transomofobiche hanno la medesima radice: la cultura e il potere patriarcali. Lo dimostra il fatto che su posizioni analoghe si trovano Paesi autoritari e Paesi che si ritengono democratici”.

La sentenza della Corte americana “pone gli States al livello di Paesi come l’Afghanistan talebano che impone il burqua alle donne e impedisce loro di studiare, come l’Arabia Saudita dove vige una normativa molto ristretta che richiede l’assenso obbligatorio del marito e della famiglia. Molti altri Paesi hanno ristretto le condizioni in cui è possibile esercitare il diritto di scelta di abortire. Fra questi, Stati autoritari come Russia, Iran e Corea del Nord. In Europa Polonia, Andorra, Malta oltre al Vaticano. In molti ancora è completamente illegale. Non a caso in questo millennio il movimento femminista appare la sola forma di dissenso realmente transnazionale.

Da tempo monta l’ondata misogina e maschilista contro le donne. Sulla nostra pelle si gioca la partita maschile del potere fra ultraconservatori di destra e progressisti. Una partita dai toni duri e violenti che rende la narrazione distopica di Margareth Atwood del ‘Racconto dell’ancella’ sempre meno distopica e tragicamente profetica”.

Questa scelta che sposa i valori antiabortisti, non elimina l’aborto, poiché le pratiche abortive e i tentativi di interruzione di gravidanza esistono dall’alba dei tempi, ma lo rende solo più pericoloso per la salute della donna trasformandolo in una questione di classe e di etnia. “Gli aborti si continueranno a desiderare. Chi avrà disponibilità economica potrà recarsi in altri Stati e accedere a cliniche private. Paradossalmente, chi si troverà in difficoltà economiche, e trova in questa scelta anche possibilità di sopravvivenza, sarà costretta a mettere in pericolo la propria vita per abortire. Proibire l’opzione abortiva non lede solo la libertà e i diritti delle donne, ma aumenta le disparità sociali e in un contesto già fortemente discriminatorio, inasprisce la situazione facendone ancora una volta pagare il prezzo alle donne. Peggiorerà le condizioni generali di vita di milioni di donne”.

Una sentenza sostenuta dai “Pillon di casa nostra che da tempo vorrebbero annullare i nostri diritti per rimandarci a casa e dipendere dai maschi. Ne sono testimoni le ripetute campagne antiabortiste (anche recenti) nelle nostre città, anche a Imola, con toni strumentali, violenti, provocatori e accusatori sul diritto all’autodeterminazione. In Italia la L.194/’78 è continuamente sotto attacco nonostante i dati ufficiali evidenzino che dalla sua entrata in vigore il numero di aborti è progressivamente diminuito. Di fatto oggi la sua applicazione è compromessa dall’estensione dell’obiezione di coscienza (spesso pretestuosa) che in diverse regioni raggiunge il 70, l’80 fino al 90% del Molise. Un diritto sancito da una legge dello Stato viene così, di fatto, negato. In gioco non c’è solo un diritto ma anche la salute di molte donne”.

Sulla sentenza americana la destra italiana esprime una reazione prudente. La Meloni glissa e dice di essere per la piena applicazione della L. 194 nella sua prima parte, quella che riguarda la prevenzione affidata ai consultori e ai medici. “Ma in questi anni i servizi hanno subito continui e progressivi tagli di fondi e di personale; alcuni hanno chiuso. Rimangono quelli privati che, neppure a dirlo, sono di orientamento antiabortista”.

Salvini dichiara di essere per la vita ma che la decisione spetta alle donne “ma intanto l’intransigente teocratico Pillon sta nel suo partito”.

“La sentenza americana suona come un monito, traccia una tendenza che dà forza all’integralismo religioso e ai più strenui sostenitori della cultura patriarcale e del potere del maschio sulla femmina. Apre la strada all’erosione di altri diritti, in primis quelli degli omosessuali (già si paventa l’abolizione dei matrimoni gay in vigore negli Usa) e delle comunità Lgbtq+. Una guerra internazionale ai diritti”.

La commissione Pari opportunità del Comune di Imola conferma il suo impegno “a fianco di tutte le donne italiane e del mondo che si oppongono e si opporranno a qualsiasi azione finalizzata o tesa a negare il diritto di autodeterminazione della nostra vita e a imporre il controllo sui nostri corpi. Diciamo No all’oscurantismo, all’ integralismo, alle ideologie teocratiche, alla cultura patriarcale”.