Riccardo Pittis, indimenticato campione di basket di Milano, Treviso e della nostra nazionale, dopo aver attaccato le scarpette al chiodo – avendo vinto nella sua carriera quasi tutto quello per cui ha giocato e si è impegnato – ora è diventato un consulente aziendale, per aiutare le persone e le imprese a tirar fuori il meglio di sé e costruire percorsi di successo.
Sicuramente aver vissuto le “stagioni d’oro” del basket, a fianco di grandi giocatori e allenatori (Dino Meneghin, Mike D’Antoni, Dan Peterson, Ettore Messina, giusto per citarne qualcuno) lo ha aiutato a riflettere su come aiutare le persone a dare il massimo del proprio potenziale.
Leggere alcune sue riflessioni me lo ha fatto apprezzare ancora di più, dopo le tante partite viste in tv, qualcuna anche dal vivo, ai tempi dell’Olimpia Milano.
In questo caso il tema è il “valore della fiducia”.
“Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” è uno dei proverbi più diseducativi e dannosi, per quanto diffuso nella nostra mentalità.
La fiducia è uno degli elementi più importanti in qualsiasi rapporto umano. E’ anche uno dei fattori essenziali per costruire solide fondamenta in una squadra, un’organizzazione, un’azienda ed è uno dei più potenti valori che possano portare le stesse al successo. Quando sappiamo di poter contare l’uno sull’altro, si instaura quella sensazione di sicurezza e forza, per cui la somma di ogni membro del team darà un risultato decisamente maggiore rispetto al totale apportato da ogni singolo componente.
Ci sono però due tipi di fiducia, che si basano su presupposti diversi e che portano ad ottenere risultati altrettanto differenti. Il primo tipo è basato sui fatti.
Noi tendiamo a fidarci delle persone in base ai loro comportamenti, alle loro azioni e di conseguenza ai loro risultati. Se una persona fa quello che ci aspettiamo, allora ci fidiamo. Se dice quello che ci piace sentire, se ha i nostri stessi valori, se rispetta le nostre regole e si comporta nel tempo come ci comporteremmo noi, allora siamo propensi a dargli fiducia. Il problema potrebbe sorgere nel momento in cui viene meno uno o più dei fattori indicati e subentra il nemico assoluto della fiducia: la delusione.
Se quella persona smette di comportarsi secondo le nostre aspettative, non fa più quello che va bene a noi, ne rimaniamo profondamente amareggiati e smettiamo di fidarci.
Questo tipo di fiducia, condizionata ai fatti, rischia di essere molto debole e legata a fattori non controllabili. Produce ottimi frutti nel breve termine, ma rischia di essere volubile e facilmente deteriorabile, soprattutto nei periodi di crisi dove alla minima difficoltà tutto rischia di distruggersi velocemente.
Il secondo tipo di fiducia invece si basa prima di tutto sulla persona. Se riusciamo a fidarci per quello che è e non solo per quello che fa una persona, riusciamo ad ottenere risultati fortemente migliori, solidi e duraturi nel tempo. Se noi confidiamo nel suo potenziale, gli permettiamo di commettere errori per farlo crescere e migliorare, lo aiutiamo a tirar fuori ed esprimere il proprio talento. Incoraggiandolo nei momenti difficili, riusciamo a creare un rapporto di fiducia veramente stabile, persistente e produttivo, che non teme le crisi.
Quando si instaura questo tipo di fiducia tra i componenti di un team o di una organizzazione aziendale, i risultati crescono ad una velocità esponenziale.
Per questo fidarsi di qualcuno è bene, credere in qualcuno è molto meglio.
Queste riflessioni, dopo il nuovo fallimento della politica di questi giorni, ci dicono come sia lunga e difficoltosa la strada del “bene comune”: perseguirla dovrebbe essere l’obbiettivo di ciascuno.
(Tiziano Conti)