Nella notte fra il 7 e l’8 agosto 1874, anniversario della cacciata degli Austriaci da Bologna nel 1848, gli anarchici internazionalisti tentarono una insurrezione, con la speranza di estenderla alla Romagna, alle Marche e alla Toscana. Nel paese il clima era teso ed appariva favorevole ad una rivolta in quanto c’erano state qua e là parecchie sommosse spontanee contro il carovita, per il pane e la fame, tra le quali una importante anche ad Imola dove il 2 giugno una folla di donne assalì e saccheggiò forni e negozi di alimentari: 36 furono arrestate e condotte in carcere a Bologna.
Il piano prevedeva la concentrazione presso i Prati di Caprara, dove furono nascoste armi, di tre colonne di congiurati provenienti da paesi vicini, l’entrata in città all’alba, l’occupazione del palazzo comunale, l’assalto e il saccheggio dell’arsenale militare e la liberazione dal carcere dei prigionieri politici.
Vennero raccolti in vari punti della città materiali per erigere barricate ed un centinaio di uomini erano pronti all’azione. Ma la Prefettura, informata da spie infiltrate, neutralizzò i capi della rivolta arrestando Andrea Costa armato di un revolver a sei colpi carico, il quale clandestinamente si era recato a Bologna, ove viveva con l’anarchica russa Vera Karpof, ma frequentava pure l’Argalia, una infermiera di Molinella: fu arrestato in via Broccaindosso proprio quando usciva da casa di costei. Anche la “Cronaca Cerchiari” ne parla, citando “Un certo Andrea Costa, giovane di anni circa 23 di svegliato ingegno, designato dalla polizia come capo degli internazionali di tutta Italia.”
Dunque, Andrea iniziava ad essere noto anche fuori dalla cerchia dei rivoluzionari.
Il capo degli anarchici Michail Bakunin fuggì dalla città travestito da prete, per cui il moto fu sventato sul nascere. Ricordiamo che in Italia all’epoca l’Internazionale dei Lavoratori non seguiva le idee socialcomuniste di Marx ed Engels o quelle repubblicane di Mazzini, bensì quelle anarchiche e rivoluzionarie del russo Bakunin, il quale era convinto che “da nessuna parte la rivoluzione sociale è così prossima come in Italia“.
Il piano prevedeva l’intervento di circa mille rivoluzionari, ma furono molti meno, nonostante Andrea Costa nelle settimane precedenti avesse percorso l’Italia in lungo ed in largo in cerca di appoggi e militanti.
La colonna più numerosa fu quella imolese composta da circa 200 anarchici e repubblicani male armati, partita da Imola all’alba, al comando del muratore ex garibaldino Antonio Cornacchia, detto “Bavarésa”, esperto di armi: le parole d’ordine erano “Che bel dè cl’è incù” e “No, cl’è una béla sira”.
Il gruppo si impadronì della stazione di Castel San Pietro e la devastò sabotando la linea telegrafica e portando via armi, lucerne e bandiere rosse per le segnalazioni, ma fu fermata verso Bologna, in località “La Campana”, da un contingente di militari e di carabinieri quindi si sbandò. Circa cinquanta uomini furono arrestati sul posto, altri, fuggiti in montagna, furono catturati il giorno seguente. Si dispersero anche le poche decine di insorti raccolti a San Michele in Bosco ed i pochi convenuti ai Prati di Caprara furono presi poco dopo nei pressi di Sabbiuno.
Molti altri congiurati furono tratti in arresto, tra essi l’ex garibaldino e cameriere dell’Osteria del Foro Boario bolognese Pio Ubaldo detto “Teobaldo” Buggini, intimo di Costa, Alfonso Leonesi e Serafino Mazzotti, che riuscirono a nascondere le armi in campagna prima della cattura. Il numeroso gruppo imolese fu trascinato a Bologna in galera tra una selva di fucili e gli applausi dei benpensanti; il governo sciolse le sezioni dell’Internazionale in Italia e iniziò una drastica repressione contro i suoi aderenti.
Andrea Costa passò il tempo leggendo e studiando.
Dopo quasi due anni di carcere, il 15 marzo 1876 davanti a un vasto pubblico si aprì a Bologna il processo contro Andrea Costa e altri 78 internazionalisti, dei quali una cinquantina imolesi, molti giovanissimi appena ventenni, che avevano partecipato al fallito moto anarchico del 1874.
Nel collegio di difesa spiccavano i nomi del prof. Giuseppe Ceneri, membro della Loggia massonica “Concordia umanitaria“, ex garibaldino e futuro senatore, e di Giuseppe Barbanti Brodano, Maestro Venerabile della “Loggia Rizzoli”, già volontario della guerra serbo-turca.
Sfilarono autorevoli testimoni a discarica degli imputati, quali Aurelio Saffi, Enrico Ferri e Giosuè Carducci il quale, seppur con differenti idee politiche, era legato da affetto al suo discepolo Andrea Costa, che ne aveva seguito le lezioni all’Università. Carducci al processo disse che Costa era stato “…il migliore dei suoi studenti ed aveva una attitudine per l’estetica… e fu diligentissimo frequentatore delle sue lezioni… inoltre che era facile che la gioventù seguisse le idee della Internazionale convinta di fare del bene”.
Anche il conte Giovanni Codronchi, già Sindaco di Imola, di fatto non attaccò i concittadini.
Tra gli astanti vi erano i giovani Filippo Turati e Leonida Bissolati, studenti a Bologna e futuri leader del socialismo riformista.
Andrea Costa prese la parola dopo gli avvocati della difesa e reclamò per sé e per i compagni il diritto al rispetto dei contemporanei e al giudizio della storia: “Noi vogliamo lo svolgimento pieno e completo di tutti gli istinti, di tutte le facoltà, di tutte le passioni umane, noi vogliamo l’umanamento dell’uomo.” Più avanti rivendicò come positivo l’epiteto di “malfattori” dato loro dai borghesi: “Ci chiamano malfattori e peggio che malfattori. Ebbene questo titolo lo accettiamo come fece un giorno la borghesia; e chi sa che un giorno come la croce da strumento di infamia divenne simbolo di redenzione, questo nome di malfattori dato a noi e da noi accettato non indichi i precursori di una generazione novella.” Non mancarono frasi ad effetto: “Non cambierei il mio duro sedile di accusato con la poltrona di Procuratore Generale.” Poi le conclusioni: “Non ci appelleremo ad una Corte di Cassazione del Regno. Ci appelleremo ad un Tribunale ben più severo e formidabile che dovrà un giorno giudicare noi imputati e voi giudici: ci appelleremo all’avvenire ed alla storia.”
Colpì tutti per la precisione, l’efficacia e la forza dell’eloquio, nonostante la giovane età: il suo accorato discorso fu ampiamente riportato dalla stampa e impressionò l’opinione pubblica non solo bolognese, ma a livello più generale, di fatto si trattò di una grande pubblicità.
Curiosa la deposizione dell’imolese Antonio Cornacchia il quale, interrogato dal giudice che lo accusava di aver tenuto una “concione”, non capiva di che cosa si parlasse; spiegatogli che si trattava di un discorso, una arringa, annuì, confessò e ripeté le parole dette alla truppa: “Su ragazzi, coraggio ed avanti. Ma non so cosa sia una concione.”
Il processo si concluse il 17 giugno con una clamorosa assoluzione degli imputati, ormai sostenuti dalla opinione pubblica. Liberati dopo 22 mesi di carcere preventivo, gli internazionalisti furono festeggiati a Bologna con vive manifestazioni di giubilo, mentre a Imola, da dove la maggioranza di loro provenivano, una folla li acclamò: la “Cronaca Cerchiari” afferma che giovani imolesi accolsero entusiasticamente i reduci e che Costa fece un paio di comizi all’Osteria del Cappello ed in un magazzino detto di San Giuliano.
L’evento è citato in moltissimi libri di storia, qui segnaliamo il romanzo dello scrittore bolognese Riccardo Bacchelli “Il diavolo al Pontelungo“, che narra le vicende italiane del rivoluzionario russo Michail Bakunin e dei suoi discepoli, in particolare Carlo Cafiero, soffermandosi ampiamente sul moto di Bologna del 1874. Lo scrittore e giornalista Aureliano Bassani ha dettagliatamente ricostruito e descritto le vicende della colonna imolese, dalla partenza alla fase processuale, nel suo scritto “La marcia su Bologna degli anarchici imolesi”.
Nazario Galassi se ne è occupato diffusamente in ”Vita di Andrea Costa”, mentre preziose sono le considerazioni di Renato Zangheri nel suo volume “Storia del socialismo italiano vol. 1”, che riporta anche l’elenco dei processati.
Si tratta di una pagina singolare e di rilievo nazionale che vide Andrea Costa e la città di Imola al centro dell’attenzione.
(Marco Pelliconi)