Venezia. La syndacaliste è uno dei film di questa edizione della mostra del cinema di Venezia che deve arrivare nelle sale. Presentato in una sezione collaterale, Orizzonti, forse più di altri avrebbe potuto essere degnamente presente anche nella selezione principale. Per almeno due ragioni: dare risalto e diffusione ad una vicenda realmente accaduta, narrata con vigore e coinvolgimento, incentrata sui soprusi perpetrati ancora oggi in chi detiene il potere e dare il giusto risalto all’interpretazione di Isabelle Huppert, classe 1953, grande attrice contemporanea.

Il regista francese Jean-Paul Salomé che, oltre a curarne la regia, firma insieme a Fadette Drouard la sceneggiatura, dimostra con quest’opera di essere un autore poliedrico. Tra l’altro aveva già diretto la Huppert nel film La padrina – Parigi ha una nuova regina.

Traendo la storia dal romanzo omonimo di Caroline Michel-Aguirre, ha trovato un equilibrio tra diversi codici del cinema popolare quali il thriller e la narrazione di cronaca, rendendo l’opera accessibile al grande pubblico e dando la possibilità di conoscere Maureen Kearney. Svolge anche una funzione di denuncia sociale, in quanto i fatti e le persone sono reali.

La vicenda vede al centro appunto Maureen Kearney (Huppert), sindacalista del gruppo francese Areva, partecipato dallo Stato, leader del settore dell’energia nucleare in Francia. Mettendosi sempre dalla parte dei lavoratori (50 mila sono presenti nella grande azienda), finisce per risultare invisa alla dirigenza del gruppo. Viene odiata in particolare quando, sola contro tutti, tenta di informare i politici, il ministro e lo stesso presidente di allora, François Holland, di avere scoperto possibili accordi su fusioni con altri gruppi e collaborazioni con paesi emergenti come la Cina, capaci di danneggiare Areva, con il trasferimento di tecnologie e know how e mettendo a rischio i posti di lavoro. Tali informazioni avrebbero dovuto rimanere top-secret. Comincia a ricevere minacce anonime.

Poco prima di essere ricevuta dal presidente francese, il 17 dicembre 2012, rimane vittima di una violenta aggressione in casa sua. Qui la storia vira al thriller, ma rispecchia ciò che è accaduto realmente. Gli inquirenti che indagano, man mano che emergono nuovi elementi, cominciano a nutrire seri dubbi sulla veridicità del suo racconto e a poco a poco la sindacalista, una donna energica, ma anche vulnerabile e spigolosa, si ritrova da vittima a sospettata. Verrà poi coinvolta in una vicenda giudiziaria decennale.

Foto Mostra del cinema di Venezia

Ecco le parole del regista: “Data la sua natura, il film rientra nella tradizione dei grandi thriller paranoici di cui sono particolarmente appassionato. Tocca temi attuali e scottanti come il posto occupato dalle donne nelle sfere del potere; l’importanza attribuita alle loro parole e l’ipotesi che siano pazze e abbiano una natura manipolatoria. L’affare Kearney è la storia di un’informatrice, ma anche di una donna in un mondo di uomini non abituati a vedere donne rischiare il tutto per tutto per attaccare chi sta ai vertici”.

Infine un commento della Huppert sul suo personaggio: “Ha ragione il regista, è una vicenda poco nota in Francia, destra e sinistra non avevano interesse che venisse fuori”. E ancora: “Nel film aleggia un clima di sospetto nei suoi confronti che dovevo rendere credibile. Lei è una donna del popolo, attaccarla è facile. Combatte con coraggio e dignità contro l’élite finanziaria e politica a cui non appartiene e per questo viene punita. E’ profondamente ferita. Ci sono state pressioni a piramide, la polizia, il procuratore, il ministro”.

(Caterina Grazioli)