Mancano ormai pochissimi giorni al voto per le elezioni politiche di Camera e Senato: una campagna elettorale sicuramente atipica, iniziata e proseguita in piena estate, periodo inedito, generalmente associato al disimpegno e all’utilizzo dei social media con finalità in prevalenza ricreative.

Social media manager (Foto Pixabay)

Utilizzo dei social

In questa breve ma intensa estate elettorale, vi sono stati comunque episodi che hanno portato l’attenzione sull’utilizzo che i nostri politici fanno dei social network. Non è una novità che le campagne elettorali si giochino quasi esclusivamente sul campo digitale, con un ruolo sempre più rilevante dei social media manager.

Si pensi, ad esempio, all’utilizzo fatto dei social media da parte del Movimento 5 Stelle nelle elezioni del 2018, o il ruolo centrale di Luca Morisi nella propaganda salviniana.

Gli altri strumenti fanno sempre meno presa sul pubblico, in particolare su quello più giovane e su quello meno istruito, quindi con una soglia di attenzione più bassa e breve: i manifesti elettorali sono ormai più un’abitudine per “marcare il territorio” che un reale strumento di persuasione, e spesso copiano la grafica già adottata sui social, mentre i comizi di piazza e le presenze televisive, pur ancora molto frequenti, assumono rilevanza solo in funzione della “rilanciabilità” sui social di quanto affermato.

Il follower sostituisce l’elettore

E così parte la caccia al follower: si badi bene, non all’elettore, che deve uscire di casa a votare, bensì al follower, che si limita a “seguire” sul social, con la speranza che poi faccia seguire ai clic i fatti.

Nei nuovi paradigmi elettorali, il punto di partenza è quello: come ben sintetizza Il Sole-24 Ore, “i followers, le loro condivisioni, le loro reazioni ai video inseriti nei profili ufficiali dei rappresentanti politici, giocano un ruolo-forza, convogliando l’opinione pubblica e, in molti casi, costituendo un vantaggio competitivo rispetto agli avversari meno avvezzi a questi strumenti. Questo i politici lo sanno e investono il loro tempo (e i fondi dei partiti) in tal senso, confermando costantemente la loro presenza proattiva sui social”.

Il linguaggio degli influencer

L’esempio più lampante è Matteo Salvini, la cui strategia di comunicazione riprende in toto il linguaggio utilizzato dagli influencer delle maggiori piattaforme social, anche a rischio di risultare eccessivo e semplicistico, ma creando, in questo modo, un rapporto simbiotico coi suoi followers.

Facendo della sovraesposizione social la sua arma principale, Salvini non a caso primeggia, con più di 5 milioni di followers su Facebook, 2 milioni su Instagram e 1,4 su Twitter.

Una potenza comunicativa tutt’altro che disprezzabile, che a livello di numeri non sembra aver risentito dell’addio a Morisi (diverso è il discorso sui contenuti, notevolmente più piatti).

Lo segue Giuseppe Conte, che da sempre preferisce il contatto diretto via social a quello mediato delle interviste giornalistiche.

Saltano all’occhio anche Giorgia Meloni, che ha più presa su Instagram e Twitter, e Luigi di Maio su Facebook. Per il centro-sinistra, invece, si nota poco appeal in tutte e tre le principali piattaforme, a parte Letta su Twitter (ove spesso battibecca con la Meloni), ma comunque con valori lontani dai leader della destra.

Secondo l’analisi realizzata nel periodo dal 3 al 20 agosto da parte di Sensemakers e Geca (fornitore ufficiale dell’Agcom sul monitoraggio televisivo per la par condicio), il confronto tra classifiche televisive e social fa emergere protagonisti differenti: Calenda, Berlusconi e Letta in testa nel ranking TV, Salvini, Meloni e Conte, invece, al comando sui social con il 47% delle interazioni complessive, mentre i rappresentanti della sinistra sono completamente assenti dalla Top 10.

Infine, Tik Tok, il social emergente, è fortemente presidiato solo da Salvini (12,1 milioni di visualizzazioni) e Conte (6,4 Milioni): anche qui, il centro-sinistra brilla per la sua assenza, dimostrando una volta in più una certa difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti sociali.

In linea generale, affidarsi a un social media manager appare la scelta più ragionevole per evitare brutte figure a politici che, tutti dai 45 in su e per questo cresciuti in contesti comunicativi ormai desueti, spesso hanno dimostrato ancora parecchie ingenuità ad approcciarsi con i nuovi canali.

Basti pensare al goffo e comico esordio dell’86enne Berlusconi su TikTok, in un maldestro tentativo di coinvolgere le frange più giovani dell’elettorato (e a Calenda non è andata molto meglio), o a Letta che risponde su Facebook a una presa in giro dei suoi stessi manifesti (comunicativamente, un errore da principiante), o ancora ai “Credo” di Salvini, facilmente storpiabili in “credino” in una sorta di contrappasso ai “gretini” di recente e destrorsa memoria.

Per non parlare del video di uno stupro rilanciato dai canali social della Meloni: uno sciacallaggio a fini elettorali che assume ancora maggior ripugnanza per il fatto che a servirsene è una donna.

Errori più o meno consapevoli, da veri “boomer”. Questo perché i social, ancor più di altri canali comunicativi, rappresentano un’arma a doppio taglio, per la loro immediatezza e per la necessità di iper-semplificare i contenuti che, spesso, conduce ad interpretazioni distorte, se non a veri e propri autogol.

Del resto, i dati sulle interazioni ai post comprendono sia quelle positive sia quelle negative, e nelle analisi dei flussi non sono scorporati: bene o male, purché se ne parli. O se ne digiti.

(Mainardo Colberti)