Gianni Amelio, Leone d’Oro nel 1998 per “Così ridevano”, ha presentato al festival del cinema di Venezia “Il Signore delle formiche”, che da qualche giorno è anche in programmazione nelle sale.
Il film ha riscosso consensi energici in laguna e ha molto fatto parlare di sé. Ripercorre la storia di Aldo Braibanti e della sua condanna per plagio psicologico ai danni di uno studente.
Per chi non conoscesse la vicenda: negli anni Sessanta Aldo Braibanti, intellettuale italiano (poeta, drammaturgo, regista e sceneggiatore) viene accusato di aver sottomesso psicologicamente e fisicamente lo studente Giovanni Sanfratello (nel film chiamato Ettore Tagliaferri), con cui aveva una storia.
Emiliano di Piacenza, il Braibanti è inquadrato dal titolo del film attraverso una sua passione: la mirmecologia, ovvero lo studio delle formiche, che lo scrittore allevava con grande cura. Delle formiche, Braibanti esaltava lo stomaco sociale: la disposizione fisica a conservare del cibo per sfamare, in caso di necessità, altri individui della loro colonia. Comunista convinto ed ex partigiano, le “sorelle” formiche si avvicinano quindi alla sua idea politica.
Il regista dipinge il personaggio di Braibanti con più dettagli possibili: ad anticipare la parte feroce e spietata del processo, ritaglia spazio per esaltare la genialità dello scrittore, a volte macchiata da sprazzi di saccenteria. Quindi la poesia e la prosa, le installazioni e i quadri, il teatro e la voglia di superarlo, tutto nel suo casale nelle campagne piacentine, ritrovo di giovani artisti e luogo di incontro con Ettore.
Luigi Lo Cascio è splendido nell’interpretazione dell’artista: audace nella professione, con occhi perennemente aperti e vigili, ma anche timido ed insicuro nella sfera sentimentale.
Gianni Amelio si serve del caso Braibanti per scuotere le coscienze. All’epoca dei fatti esso fu occasione di riflessione e di critica verso uno stato rigidamente conservatore, tanto che nel film un giornalista che si batte per la causa (interpretato da Elio Germano) viene destituito dal suo impiego; ma la storia ha una forte rilevanza anche oggi, in una società avanzata che a volte si dimentica di esserlo.
“Io non sono come loro ma sono anche come loro”, spiega il protagonista ad Ettore, scosso dopo una serata in un salotto romano frequentato da personaggi eclettici e quasi caricaturali. Questa la prima lezione di una pellicola che apre alla diversità, evidenziandone però la radice comune a tutti.
Di seguito il processo: Braibanti è accusato dalla famiglia dell’amante, che nel frattempo ha imposto al ragazzo un percorso spietato tra gli ospedali psichiatrici. I dialoghi dell’interrogatorio sono ripugnanti ed oltremodo ottusi e crudeli, fa inorridire sapere che il regista si sia basato sugli atti del processo, che ha apice patetico nella dichiarazione di Ettore.
Il ragazzo entra in aula in condizioni disumane, con segni evidenti delle brutalità a cui è stato sottoposto, ed avanza con commozione la semplicità dei suoi sentimenti: parla di natura dell’essere e dell’impossibilità di colpevoli per assenza di colpe. Si svela l’accusa: dietro il reato di plagio c’è quello di omosessualità, parola che aleggia in tribunale per tutto il processo ma che nessuno osa pronunciare; malattia che si crede possa essere trasmessa.
Giusto, inoltre, dare rilievo a un personaggio che molto si è speso per la cultura dell’epoca senza mai coltivare l’ambizione di fama. Questo stesso atteggiamento viene esposto durante e dopo il processo, con Braibanti che preferisce il silenzio alla difesa. “Né mostro né martire” dice l’intellettuale riguardo alla sua figura.
Il messaggio del film è schietto e diretto, così come il linguaggio: semplice e senza eccessi di virtuosismo. Nota di merito a Leonardo Maltese, attore esordiente che interpreta Ettore e che dimostra grande talento e duttilità, a cui Amelio affida l’ultima inquadratura, su cui scorrono i titoli di coda, che è un omaggio a “Chiamami con il tuo nome” di Luca Guadagnino.
(Leonardo Ricci Lucchi)