Altre volte su Leggilanotizia abbiamo ricordato la storia del Baccanale, che iniziò nel 1985 da una idea di Raffaele Benni e Giorgio Marabini: bene, quest’anno è dedicato ai “ripieni”.

Perché dunque parlare dei garganelli? Vediamo.

Si tratta di un piatto, il “garganello di Imola”, che a partire dall’anno 2000, ai sensi del Dm 18 luglio 2000 e 173/98, compare nell’elenco dei “piatti tradizionali” ovvero dei “prodotti tipici” della regione Emilia-Romagna. Questa la descrizione sintetica che ci spiega anche il rapporto del garganello con il ripieno, infatti il garganello secondo la leggenda è per caso una pasta senza il ripieno.

Garganello, descrizione sintetica del prodotto: Pasta sfoglia a base di farina e uova a cui si da una particolare forma.
Territorio interessato alla produzione: Comune di Imola (Bologna).
Come si fa. Tirata una sfoglia sottile la si tagliarla a quadretti di 3 cm circa di lato, quindi la si passa nell’apposito attrezzo chiamato pettine. La grandezza del quadretto varia a seconda dell’uso del garganello, quello in brodo va molto piccolo.

Qual è l’origine secondo la storia, la tradizione o la leggenda?
Una brava cuoca che operava da anni in una casa patrizia locale, precisamente in quella del Cardinale Cornelio Bentivoglio d’Aragona, Legato Pontificio della Romagna nel 1725, era indaffarata a preparare il pranzo per un cento numero di inviati. Il menù prevedeva i ‘caplètt’ (chiamati ora ‘tortellini’ dai bolognesi, ma di gusto alquanto diverso).

Dopo avere accuratamente preparato il ripieno con carne di maiale, petto di pollo e relativi ingredienti, lo mise da parte e si diede ad impastare farina con le uova. Mentre tirava la sfoglia col matterello (s-ciadur), si accorse che un animale domestico aveva mangiato buona parte del ripieno.

Disperata per la difficoltà di poter trovare sull’istante il necessario per sopperire al grave inconveniente, le balenò ad un tratto una soluzione quasi prodigiosa. A quei tempi in Imola, anche in casa di famiglie agiate, si filava la canapa e se ne tesseva la tela per la biancheria di famiglia. Perciò nel cantuccio della legna, in cucina, si trovavano in quantità cannellini lunghi 20-30 cm, della grossezza di una comune matita, che servivano per accendere il fuoco.

Nella camera attigua dove si tesseva vi erano i pettini dei telai. La cuoca pensò di prendere i quadretti di sfoglia già preparati per i cappelletti, di avvolgerli al fusillo e di passarli leggermente in rotazione sui denti del pettine, all’uopo disposto sul tavolo. In breve la tavola si riempi di tanti tubotti rigati e dorati.

Cotti nel brodo di cappone, già pronto per i cappelletti, e serviti odorosi e saporiti, riscossero la generale approvazione dei commensali che stupiti per la novità vollero complimentarsi con la cuoca e chiesero, con interesse, delucidazioni sulla procedura usata nella manipolazione.

In breve tempo la ricetta venne conosciuta ed estesa a tutta la zona. Questa è la vera storia della genesi dei garganelli imolesi, che si raccontava nelle stalle durante i trebbi serali nei lunghi inverni romagnoli.

Un “ripieno” mancato, dunque.
Ne esiste un’altra praticamente identica che si riferisce alla cuoca di Caterina Sforza!
Origini assai nobili, dunque parrebbe.
Eppure, eppure…

Lugo rivendica la primogenitura dei garganelli, asserendo, non senza qualche fondamento, che si tratta di un piatto “povero”, dunque originario delle campagne. Ma c’è dell’altro.

F. M., cioè lo storico e cronista imolese Ferruccio Montevecchi, nel 1965 scrisse che sua nonna raccontava una storia simile a quelle soprariportate, con la cuoca che aveva sbagliato le dosi del “ripieno”: da riferirsi tuttavia ad un signorotto delle campagne imolesi.

Dunque, si capisce perché anche Mordano possa ambire alla primogenitura.

Peraltro, il cognome Garganelli, sia pur estremamente raro oggi, è sicuramente bolognese, pare attestato a partire dal XV secolo e sicuramente nei secoli seguenti, con ramificazioni nel ferrarrese, mentre un Ganganelli fu Papa Clemente XIV° nella seconda metà del Settecento, originario di Santarcangelo di Romagna. Tutto ciò attesta l’antichità del cognome e le radici regionali.

A dire il vero persino in Ungheria, nella città di Debrecen (Provincia di Hajdú-Bihar), esiste un tipo di pasta molto simile ai garganelli romagnoli. Questa pasta è chiamata Csigatészta o Lúdgégetészta e viene servita generalmente in brodo di pollo, quasi proprio come in Romagna, dove è tradizione il brodo di cappone (in questo caso sono chiamati csigatészta-leves); sono creati utilizzando un rigagnocchi in legno e una bacchetta di legno. Sono assai simili ai nostri garganelli con le estremità appuntite, a differenza dei “maccheroni al pettine” emiliani che le hanno pari, come i maccheroni, appunto.

Che addirittura siano da riferirsi alle antiche invasioni degli Ungari che nel IX secolo attaccarono il territorio imolese che fu coraggiosamente difeso da Fausto Alidosi? Probabilmente non lo sapremo mai.

Sta di fatto che da noi questa pasta viene servita, in diversi modi: oltre che in brodo, asciutta, stufata al forno, pasticciata con ragù di carne, al burro, con sugo contenente tartufi e funghi, sempre ben condita con parmigiano di ottima qualità.

Montevecchi raccomanda sugo di lepre o pancetta non troppo tritata e piselli.

E poi il “Garganello d’Oro” è una onorificenza ufficiale conferita dal Comune di Imola a personaggi o enti che si sono distinti nella promozione della cultura del cibo.

Inoltre, fatto assai importante, il 29 ottobre 2019 la Delegazione di Imola della Accademia italiana della Cucina e l’Associazione dei Periti agrari ex Allievi dell’Istituto agrario Giuseppe Scarabelli hanno depositato alla sede storica della Camera di Commercio di Bologna in Palazzo Mercanzia la ricetta che così è stata solennemente “decretata e depositata”, dunque la cosa è ufficiale.

Imola insomma intende difendere l’originalità del suo garganello.

Non ci rimane che approfittare della cena proposta dalla “Compagnia del Garganello” e dal Touring Club Imola per il giorno 22 ottobre al ristorante Antico Tre Monti.

(Marco Pelliconi)