Andrea Pagani

La rubrica letteraria, curata da Andrea Pagani, “Lo Scaffale della domenica”, dedica il mese di novembre ad un genere inedito per questa rubrica: il teatro. Fino ad oggi ci siamo occupati, infatti, di narrativa, ossia di vari generi di romanzo. In queste mese, invece, abbiamo deciso di proporre quattro capolavori del teatro, che naturalmente non intendono esaurire il discorso su un genere tanto complesso e diversificato come quello della drammaturgia, che ha una storia molto articolata, ma intendono semplicemente offrire qualche spunto di lettura, suggerimenti di quattro testi che hanno segnato una svolta nel teatro moderno. Buona lettura, dunque, col grande teatro!

Nella prolifica produzione teatrale di Shakespeare, venata d’una inesauribile creatività e di una prodigiosa varietà inventiva, l’opera che, con ogni probabilità, presenta la più forte connotazione gotica e la più tetra irruzione del soprannaturale, è la tragedia Macbeth, composta fra il 1605 e il 1608, e pervenutaci per iscritto nella versione del First Folio del 1623.

Fin dalle prime scene, l’elemento del trascendente e del magico, che è presente in molti altri drammi di Shakespeare, a partire dell’Amleto dove l’apparizione del fantasma del protagonista nelle prime battute svela l’identità del suo assassino, qui diventa imponente e decisivo, per la stessa dinamica degli eventi, in margine al dialogo iniziale fra tre Streghe, Le Sorelle Fatali, ispirate alle Norne del mito norreno e alle Parche della tradizione greco-romana, per poi proseguire in un crescendo di tenebrosa spettralità gotica, in una cupa Scozia del Basso Medioevo, fra lampi, tuoni e nature incontaminate.

Ma ciò che importa, come sempre nei capolavori shakespeariani, è il valore simbolico di queste ambientazioni, le implicazioni filosofiche, gli aspetti allegorici che sono sottesi alle immagini gotiche e orrorifiche.

Nulla è casuale in Shakespeare, nulla è lasciato all’improvvisazione e al mero pretesto narrativo: il paesaggio aspro, l’ambiente selvaggio, il contesto arcano riflettono una particolare condizione esistenziale, l’anima dei personaggi, una desolata incombenza del destino.

Dal momento in cui le streghe profetizzano che Macbeth sarà re di Scozia e che da Banquo (generale dell’esercito del re di Scozia, Duncan) nasceranno i futuri sovrani scozzesi, l’ambizione di Macbeth aumenta a dismisura, si esaspera in brama criminale, sempre più in concomitanza con apparizioni soprannaturali, che incidono sull’evoluzione delle vicende, sulle scelte dei personaggi e sul loro stato d’animo: il fantasma di Banquo comincia a perseguitare Macbeth; nel quarto atto, Macbeth si reca nella dimora delle tre streghe, dove gli appare una testa fluttuante che gli predice un infausto avvenire; Macbeth, travolto dalla cieca follia dell’ambizione, arriva a decidere, pur di scongiurare i neri presagi, di far uccidere la moglie e i figli del nobile scozzese MacDuff.

In tal senso, Macbeth, che inizialmente si presenta al pubblico come un uomo coraggioso, un eroe che combatte per la sua patria, diventa ben presto l’emblema dell’insana sete di potere, dove le tre streghe e le loro profezie simboleggiano l’alimentarsi delle ambizioni di Macbeth, di una delirante e cinica mancanza di scrupoli.

In uno dei passaggi più drammaticamente suggestivi del dramma, scritto con rara intensità lirica in blank verse, ossia in pentametri giambici non rimati con cinque accenti, dove ogni verso è formato da dieci sillabe, Shakespeare, con una potente capacità visionaria, da far venire i brividi, nel rappresentare il dominio della forze del male nel cuore degli uomini, scrive che «nella notte in cui Duncan è assassinato la terra trema, si scatenano violenti temporali, gli animali sembrano impazziti, le tenebre calano sul mondo, tutto è avvolto nell’oscurità, il sole splende solo due volte, i colori scuri prevalgono, ma il colore più ricorrente è il rosso del sangue versato», simbolo della colpa e della coscienza malvagia del protagonista.

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(Andrea Pagani)