I vincitori delle elezioni politiche del 2018, i Cinque Stelle, erano contro le élite: lo slogan “uno vale uno” era un modo per dire noi siamo come voi, siamo il popolo. Per questo si facevano fotografare in autobus o mentre mangiavano un panino.
I vincitori del 2022, invece, dichiarano la propria appartenenza a un’altra élite, si presentano come una classe dirigente di destra, che ha tutti i titoli per comandare in ogni campo, dalla pubblica amministrazione all’economia alla cultura. I vincitori delle elezioni del 2018 rivendicavano la propria ignoranza, proclamavano di non avere cultura.
Quelli del 2022 rivendicano una cultura alternativa, quella di chi – come ha detto Giorgia Meloni nel discorso della fiducia – ha “una storia politica che è stata spesso relegata ai margini” (vale la pena di ricordare che, in Italia, quella storia, nel tempo, è legata alla dittatura, alle leggi razziali e all’entrata in guerra).
Ma il governo Meloni, cui fa parte Forza Italia che attende il “rompete le righe” del dopo Berlusconi e la Lega in cui all’improvviso perfino Salvini si mette la cravatta e gli occhiali, e pur avendo molti ministri che già lo erano nel 2008, segna una discontinuità con i precedenti governi di destra perché il populismo si fonda sul rapporto diretto tra leader e popolo e sulla disintermediazione programmatica, mentre Meloni ha già dichiarato, coerentemente con la sua storia politica: “Io credo nei corpi intermedi”.
Un’altra differenza sottile, ma decisiva, di questo cambio culturale mi sembra essere la strategia con cui si cominciano a mostrare i nemici (i migranti, i ragazzi che protestano). E’ molto probabile che nei prossimi mesi, di fronte alle inevitabili difficoltà, per mantenere il consenso si darà la colpa a qualcuno.
E’ uno schema classico, consolidato, a cui la destra ricorre con più disinvoltura di quanto non faccia la sinistra e che in Italia conosciamo bene. Nel 2011 Berlusconi accusava chi parlava di crisi rispondendo “i ristoranti sono pieni”, nel 2015 Matteo Renzi si inventò i “gufi iettatori” e nel 2018-2019 Matteo Salvini trascorse i suoi mesi da ministro dell’Interno, accusando migranti, Ong, radical chic e giornalisti avversi.
L’impressione è che la colpa prevalente che la nuova destra evocherà per screditare gli avversari politici sarà l’antipatriottismo: sarà ventilare, cioè, per gli oppositori il gravissimo reato di alto tradimento e di intelligenza con lo Straniero. Comincia a essere frequente che di fronte a una critica venga risposto che si danneggia l’Italia. Non è una scelta tattica e in malafede, o almeno non sembra.
E’ un comportamento coerente con l’identità profonda della destra che rimane il nazionalismo, occulto o esibito: cioè con l’idea che ogni individuo si definisca innanzitutto in base alla sua appartenenza alla famiglia e al Paese in cui è nato, e che il dovere di ogni italiano sia difendere i confini della Patria dai suoi nemici esteriori e interiori.
I prossimi mesi ci diranno di più.
(Tiziano Conti)